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martedì 4 dicembre 2018

Più libri piùliberi -1: Il coraggio di Franca Viola in “Belice”, incontro a Roma 9 dicembre


“Dopo la liberazione, Bernardo Viola chiede alla figlia Franca – che nel 2015 ha raccontato questo dialogo a Concita De Gregorio in un’intervista pub­blicata su la Repubblica –: «Cosa vuoi fare, Franca?». «Non voglio spo­sarlo», risponde lei. «Va bene: tu metti una mano, io ne metto cento. Basta che tu sia felice, non mi interessa altro», risponde il padre.
Franca torna a casa. Con il sostegno dei genitori rifiuta di sposare Filippo Melodia e così il ragazzo deve affrontare il processo. Diventa la prima donna in Italia a rifiutare il matrimonio riparatore.
La storia di Franca a un certo punto incrocia quella di Ludovico Cor­rao, che accetta di difenderla al processo contro Melodia, in cui la fa­miglia Viola ha deciso di costituirsi parte civile nonostante le pressioni in senso contrario. Corrao difende Franca gratuitamente, accettando di mettersi apertamente contro la famiglia Melodia, un fatto per nulla scontato. È anche grazie a lui se la vicenda della ragazza di Alcamo di­venta un caso nazionale e innesca il dibattito per la modifica della legge sul matrimonio riparatore e sul delitto d’onore.
La figlia di Corrao, Francesca, che oggi è una docente universitaria, mi spiega perché suo padre decise di compiere questa scelta: «Mio pa­dre era una persona che si è sempre battuta per i diritti civili e un uomo che ha sempre avuto un profondo rispetto per la dignità della vita. A casa come nel lavoro, era molto attento e scrupoloso nel rispettare le persone e le regole comportamentali. Era contrario alla violenza, all’ingiustizia. Considerò il caso di Franca Viola come una battaglia personale, per difendere quella povera ragazza che era stata così in­giustamente trattata da un prepotente. Franca è venuta poi a trovarci diverse volte a casa. Papà ce l’ha presentata proprio come una ragazza che ha avuto il coraggio di difendere i suoi diritti, come una ragazza e una famiglia tutta che si sono levate contro l’ingiustizia del prepotente di turno».
Il processo contro i rapitori di Franca non è semplice. La difesa di Melodia sostiene davanti ai giudici che lui e la ragazza avevano concor­dato la fuga, che lei era consenziente. Il mafioso si spinge anche oltre, dicendo che i primi rapporti tra lui e la ragazza risalivano al 1963, durante il periodo del fidanzamento. La difesa chiede una perizia – poi fortunatamente respinta – per accertare quando sia avvenuta la deflo­razione della ragazza. Franca partecipa a tutte le udienze del processo, trasportata ogni volta su una camionetta della polizia da Alcamo a Tra­pani. In aula si trova di fronte al suo stupratore, che in un’occasione sputa all’avvocato Corrao per intimidirlo. Durante il processo, Melo­dia minaccia anche Franca, dicendole che se avesse sposato Giuseppe Ruisi lui lo avrebbe ammazzato.”

Il brano sopra riportato è tratto da Belice. Il terremoto del 1968, le lotte civili, gli scandali sulla ricostruzione dell’ultima periferia d’Italia di Anna Ditta, un libro che ripercorre le vicende del Belice, estrema periferia d’Italia ma al tempo stesso molto viva e attiva dal punto di vista sociale, devastato da un terribile terremoto nel gennaio del 1968.
L’autrice presenta il libro insieme a Floriana Bulfon domenica 9 dicembre, alle 17,30 in sala Giove, nell’ambito di Più libri più liberi che si tiene presso il Roma Convention Center La Nuvola, viale Asia 40 (zona Eur).

lunedì 3 dicembre 2018

4 dicembre 2012, a L’Aja la sentenza di secondo grado per Sredoje e Milan Lukić


I nomi dei cugini Sredoje e Milan Lukić sono tristemente noti a Višegrad, cittadina della Bosnia orientale bagnata da quella azzurra e fredda Drina cantata da Ivo Andrić, dal momento che i due sono stati protagonisti, nel corso dell’estate del 1992, di una serie di episodi disumani, tra cui l’uccisione a sangue freddo di sette musulmani-bosniaci, i cui cadaveri vengono gettati nella Drina, e della combustione di cinquantacinque persone – tra cui una neonata di tre giorni di vita – in una cantina di Pionirska ulica, nella quale i Lukić lanciano ordigni incendiari alimentando poi le fiamme per ore con la benzina. L’orrore è continuato così per tutta l’estate, finché la pulizia etnica ai danni dei musulmani-bosniaci – che costituivano il 63 per cento della popolazione locale – viene portata a termine con operazioni di rastrellamento, deportazioni e omicidi di massa di centinaia di civili all’interno di case private. Circa tremila persone vengono uccise e fatte scomparire.
Il processo contro i cugini Lukić inizia solo il 9 luglio del 2008; un anno dopo – il 20 luglio 2009 - Sredoje e Milan Lukić sono con­dannati dai giudici de L’Aja in primo grado rispettivamente a trent’anni di carcere e all’ergastolo per i crimini commessi tra il 1992 e il 1994. I due, definiti dai giudici “assassini brutali e insensibili”, dovevano rispon­dere di omicidio, persecuzioni e altri crimini contro l’umanità ai danni di musulmani-bosniaci e altri “non-serbi”.
La sentenza definitiva arriva il 4 dicembre 2012. In quest’occasione il Tpi conferma la condanna all’ergastolo per Milan Lukić ma riduce da trenta a ventisette anni quella del cugino Sredoje, con il dissenso dei giudici Pocar e Liu. Il Tpi deve e vuole sbrigarsi, quindi non prende in considerazione tutti gli episodi di violenza attribuiti ai due carnefici. Milan viene così condannato per sei specifici episodi di uccisione, ovvero i fatti di sangue del 7 giugno 1992 (il brutale assassinio dei dipendenti del mobilificio Varda assassinati), rispetto ai quali viene attribuito di­rettamente all’imputato l’omicidio di cinque delle sette vittime; la morte di Hajra Korić e i trattamenti disumani inflitti alle persone recluse nel campo di prigionia di Uzamnica; la strage di Pionirska ulica; l’assassinio diretto delle persone rinchiuse nella casa di Pionirska ulica che tentavano di fuggire e la strage di Bikavac.

Piùlibri piùliberi -2: Il sorriso di Salimu, “L’Afrique c’est chic”, incontro a Roma 9 dicembre


Diario di viaggio di un medico impegnato da anni in missioni umanitarie in Africa, L’Afrique c’est chic di Michelangelo Bartolo è scritto in prima persona da un protagonista ironico, a volte un po’ impacciato ma appassionato nel compiere il proprio lavoro. Malawi, Mozambico, Togo, Tanzania, Centrafrica e altri Paesi sono narrati in presa diretta anche attraverso le contraddizioni di alcune capitali africane che si muovono verso una veloce “occidentalizzazione” e spaccati di vita locale.

Per capire come tutto è cominciato abbiamo estratto una piccola parte del testo che riportiamo qui sotto.

“In macchina verso la città, ripensando all’accaduto e alla comprensibile provocazione del collega, ho un flash.
Perché non inventare qualcosa di automatico che metta in comunicazione una particolare richiesta clinica con un’opportuna risposta?
Il web è già pieno di piattaforme simili, solo che si sono sviluppate su altri campi. Vuoi una donna? La vuoi bionda, bruna, riccia, con occhi verdi, alta, bassa, sedere grosso, piccolo, tette grandi, normali o piccole? Ed ecco che l’elenco di varie Pamela, Samanta, Deborah o Debora si
palesa sul tuo computer con tanto di concorrenza.
E allora perché non inventare qualcosa di simile in ambito medico? Si tratta solo di realizzare qualcosa di decisamente più serio e cercare l’equivalente delle varie Pamela, Debora, Samanta… ma in ambito sanitario, e magari disponibili a prestazioni gratuite.
Il sorriso di Salimu così autentico, esagerato, quasi irritante, mi aveva stregato. Bisogna inventare qualcosa: qualcosa che metta velocemente in comunicazione medici occidentali con colleghi africani.
Arrivato a casa, faccio un’approfondita ricerca sul web e non trovo nulla di nulla, a parte i siti già menzionati. L’idea che mi balena per la testa è di mettermi io a realizzare una piattaforma simile.
In fondo, io sono un medico un po’ sui generis: da ragazzo snobbai il liceo e mi diplomai, suscitando le ire di mio padre, come perito elettronico. Poi, forse per non sentire ulteriori urla in casa, mi iscrissi alla facoltà di Medicina. Per papà fu come il ritorno del figliol prodigo che,
dopo aver vissuto da dissoluto in un Istituto tecnico industriale, ritornava alla casa del padre: la facoltà di Medicina, per l’appunto. Con il senno del poi, non ho ancora capito se l’errore più grande sia stato studiare Elettronica o Medicina.
Appena laureato frequentai come medico “volontario”, come si usava negli Anni ‘90, il reparto di Angiologia dell’ospedale San Giovanni. Lì il mio primario, forse apprezzando di più la mia preparazione tecnica di quella medica, mi affidò la costruzione, pezzo per pezzo, di un laboratorio di microcircolazione per lo studio della fisiopatologia del circolo arterioso e venoso. Il pomeriggio, finite le visite, appendevo al chiodo doppler e fonendoscopio e armato di saldatore, pinze, cacciaviti e altri attrezzi non propriamente da clinico, costruii insieme a Maurizio, il capo-elettricista dell’ospedale, un laboratorio assolutamente all’avanguardia pieno di computer, monitor, videoregistratori, oscilloscopi e altri strani marchingegni. Passai quasi un decennio a studiare la fisiopatologia del microcircolo, parola che in quegli anni cominciava ad andare di moda. Di fatto, le caviglie di pazienti selezionati dal mio primario venivano piazzate sotto un grande microscopio per un paio d’ore e si registrava e misurava il flusso dei globuli rossi nei capillari.
Eravamo gli unici in Italia a fare queste ricerche e quando si è gli unici, in genere, i motivi possono essere solo due: o si è dei gran fichi oppure ciò che si sta facendo non serve a niente. Ad anni di distanza il dubbio rimane.
E ora, proprio a partire dalla storia di Salimu, è forse giunto il momento di mettere nuovamente a frutto questa mia particolare formazione tecnica e medica.”

L’autore presenta il libro insieme a Roberto Gervaso, Max Giusti, Paolo Bianchini e Paola Rota; modera Christiana Ruggeri domenica 9 dicembre, alle 13,30 in sala Luna, nell’ambito di Più libri più liberi che si tiene presso il Roma Convention Center La Nuvola, viale Asia 40 (zona Eur).

sabato 1 dicembre 2018

Piùlibri piùliberi -5: “Senza grazie”, incontro a Roma 9/12


Metropolitana di Londra, una delle più grandi “metropoli italiane”, se è vero che ci vivono un quarto di milione di nostri connazionali. Pino Sassano, in Senza grazie, ci conduce nel viaggio in senso proprio e interiore che i passeggeri affrontano nell’underground della capitale britannica nell’indisponibilità di comunicazione con gli altri e, di conseguenza, senza “grazie” da dover scambiare con chicchessia.
Qui sotto uno dei 27 racconti che compongono il libro, al centro di un innovativo progetto di bookshow.

E a chi glielo racconto il mio problema?
Mi sento tutto il peso del mio ruolo, di chi rema.
Volevo stare a letto, così me lo evitavo di prenderlo di
petto e dirgli che è la legge del mercato.
Eppure m’è costato far carriera.
Non sono forse il capo, bene o male?
Sono io che devo dire chi vale e chi non vale.
Al diavolo il diritto sindacale.
So’ boss del personale e questo è tra i doveri.
La moglie sta morendo all’ospedale?
È un bene, mica un male.
Perciò questa mattina, come aprono la sede…
E se m’insiste e chiede un’altra volta la ragione, ripeto
paro paro la lezione: licenziato!
E quel che è stato, è stato.
Il treno s’è fermato…
Com’è che non mi piace di essere arrivato?
(This train is arrived to end)

L’autore presenta il libro insieme a Leon Pantarei, Maria Frega, Nicola Zamperini e Francesco De Filippo domenica 9 dicembre, alle 10,30 in sala Antares, nell’ambito di Più libri più liberi che si tiene presso il Roma Convention Center La Nuvola, viale Asia 40 (zona Eur).

venerdì 30 novembre 2018

Piùlibri piùliberi -6: “Il principio della Terra” – testimonianza di una catastrofe ambientale – incontro a Roma, l’8 dicembre


L’alto co­mando si aspetta grandi risultati dai nuovi esperimenti, e il programma richiede che gli agenti patogeni rimangano efficaci anche dopo un’esplo­sione. Nell’impossibilità di testare l’impatto di un vero e proprio missile veicolatore, che verrebbe subito individuato dai satelliti, qualcosa di ana­logo, in scala ridotta, si può simulare. Ed è quello che sta per accadere.
“Fa una certa impressione pensare che le colture abbiano girato mezzo Paese in treno e in nave prima di arrivare fin qui”, riflette il biologo.
“I contenitori che le racchiudono sono ad altissima tenuta. Non c’è nessuna probabilità di fuoriuscita. L’aereo è inadeguato come mezzo di trasporto, in caso di incidente il rischio di diffusione sarebbe troppo ele­vato. Il volo va bene per gli scienziati, le attrezzature, gli animali. Non per i microrganismi”.
“Quanti membri dell’équipe conoscono il luogo dove ci troviamo?”.
Il principio della Terra, romanzo-reportage di Elena Maffioletti da cui abbiamo tratto il brano sopra riportato, “avvolge il lettore e lo introduce in un mondo straordinario e conflittuale, ricco di un passato magnifico, di una storia recente dolorosa e crudele, e di un futuro incerto. Con una scrittura tonda e accattivante, elegante e precisa, l’autrice ci ricorda e racconta quello che succede là dove le acque scompaiono e la terra nuda e arida spinge sempre più avanti il suo principio.”. (dalla prefazione di Christiana Ruggeri).

L’autrice presenta il libro insieme a Simona Maggiorelli sabato 8 dicembre, alle 15,30 in sala Giove, nell’ambito di Più libri più liberi che si tiene presso il Roma Convention Center La Nuvola, viale Asia 40 (zona Eur).