Io
ho vissuto per lungo tempo lontano dall’Italia, dove sono tornato a risiedere
solo in anni recenti. La mia storia personale, legata alla banca che ora
dirigo, mi ha portato per vent’anni in giro per il mondo, in continenti diversi.
In quest’arco di tempo ho avuto modo di conoscere da vicino la rapida e
impressionante evoluzione anche dei Paesi di cui si parla in questo libro.
In ogni paese dell’Est dove ho
viaggiato ho avuto modo di rapportarmi a cittadini e imprenditori italiani,
attualmente intimoriti dalla crisi, ma comunque ancora attivi oltre frontiera.
Alcune di queste persone vengono menzionate, con il loro bagaglio di
professionalità e con i loro successi, in Me ne vado a Est. Ma
attenzione: non si tratta di semplici biografie. Il volume di Matteo Ferrazzi
e Matteo Tacconi ha il pregio di inserire le storie di queste persone in un
quadro che formalizza e certifica i mutamenti dell’economia internazionale.
Queste storie non vengono raccontate: non c’è, sul mercato, un volume del
genere. In una qualunque libreria si trovano libri sulla Cina, sull’India, sul
Brasile, sulla Russia. Mai, però, un testo che potesse
darmi una visione complessiva sull’Europa dell’Est o che avesse il coraggio e
la capacità di raccontare le storie di coloro che hanno varcato l’ex Cortina di
ferro.
Spesso
non ce ne accorgiamo, ma il legame tra l’Italia e l’Europa centro-orientale e
balcanica è portentoso. Supera, quantitativamente, quello con la Cina, come
viene rilevato in questo libro. Ogni giorno numerosi veicoli puntano verso Est,
carichi di merci italiane. Tornano con prodotti realizzati in Polonia,
Slovacchia, Ungheria, Repubblica Ceca e Serbia da aziende a capitale
italiano.
I nostri imprenditori e manager partono
dagli aeroporti del Nord-Est e raggiungono, con voli diretti o facendo scalo a
Vienna, le città dell’Europa orientale. Inoltre studenti e giovani ricercatori,
grazie anche al progetto Erasmus,
fanno altrettanto. Frequentemente – si afferma – l’Italia, come sistema Paese,
arriva tardi rispetto alla storia. In questo caso è d’obbligo parlare di
eccezione. Le imprese e i cittadini italiani si sono ancorati a Est già nei
primi Anni ‘90 e quando, nel 2004, è arrivato l’allargamento dell’Unione
europea, con otto Paesi ex comunisti entrati nel club
comunitario, noi italiani eravamo già più che presenti in
questa regione. La crescita dell’Est ha avuto due fasi. La prima, negli Anni
‘90, è stata a tratti incerta. Le grandi riforme e il passaggio dall’economia
pianificata al libero mercato hanno avuto ricadute economiche rilevanti e un
impatto sociale drammatico. Una volta completato il primo ciclo di riforme,
però, la corsa si è pian piano velocizzata. Gli anni Duemila hanno
rappresentato un periodo in cui la convergenza nei redditi s’è dispiegata a
pieno ritmo. Le strutture economiche e sociali si sono progressivamente
adeguate a quelle europee. La partecipazione dei cittadini e lo spirito
democratico hanno fatto passi da gigante. Tanto rimane ancora da fare, ma per
giudicare l’Est attuale dobbiamo tenere a mente la situazione di partenza, lo
“storico” 1989 e gli anni seguenti. Anche l’imprenditoria italiana, nel corso
di questi due decenni, è cambiata.
Negli
Anni ‘90 la delocalizzazione era il leitmotiv.
Adesso, invece, si può stare a Est solo se si è capaci di leggere i cambiamenti
socio-economici in corso in questi territori e a livello globale. Bisogna
tenere d’occhio il mercato locale (i servizi contano sempre di più rispetto al
settore manifatturiero) e bisogna fare i conti con la concorrenza dei Paesi
emergenti dell’Asia.Negli ultimi anni, poi, la crisi finanziaria mondiale ha
suscitato diverse preoccupazioni tra chi ha investito e investe nell’Oriente
continentale. A Est, infatti, la crisi ha colpito duro. Ucraina, Lettonia,
Ungheria, Bielorussia,
Romania, Bosnia Erzegovina e Serbia sono state costrette,
una dopo l’altra e nell’arco di pochi mesi, a ricorrere ai prestiti del Fondo
monetario internazionale.
L’Est
sembrava incapace di continuare a ricoprire il ruolo di hub
produttivo e polo attrattivo di investimenti esteri.
Qualcuno ha visto in tutto questo il fallimento del modello di internazionalizzazione
e ha bollato l’Est come l’anello debole dell’Europa, lo scoglio che l’avrebbe
fatta naufragare.
La
mia stessa banca ha passato dei momenti complicati; ora molti ci invidiano.
Infatti l’Est, dopo le fatiche iniziali, ha mostrato una notevole solidità, di
cui molti, inizialmente, dubitavano. Se due anni fa era l’Est a creare problemi
alla stabilità delle economie dell’Europa occidentale, oggi avviene il
contrario: è l’Ovest che rischia di destabilizzare l’Est. Certo, la crisi ha
lasciato anche all’Est ferite visibili. Famiglie che fino a pochi anni prima
erano fiduciose, sono state costrette a rivedere i loro stili di consumo e la
visione del futuro. Ma queste economie, ripeto, hanno comunque retto l’urto.
Molte delle aziende italiane lì presenti hanno vinto la scommessa. Il coraggio
di andare oltre le frontiere, di sentirsi pienamente europei, di arricchirsi di
esperienze diverse, di inventare e di rischiare è il punto di forza di chi ha
deciso di puntare sull’Europa centro-orientale e balcanica, come sull’Ucraina,
sulla Turchia e sulla Russia.
Leggendo Me ne vado a est ho ricavato nuovamente
la sensazione di quel dinamismo, di casa in questi Paesi, che a volte sembra
parzialmente assopito nella “vecchia” Europa. Intendo dire l’entusiasmo di affrontare
la velocità del cambiamento; la tenacia e la voglia di riscatto tipiche di chi
non ha avuto trattamenti teneri da parte della Storia; la capacità di
affrontare gli alti e i bassi.
Noi
italiani, in questo contesto, ci siamo fatti valere, in numerosi campi. Avevamo
bisogno di mercati nuovi, di un rinnovato spirito avventuriero, della
possibilità di riprodurre quello che non riuscivamo più a fare in patria
(magari semplicemente perché lo avevamo già
fatto in patria). Siamo andati a Est e lentamente siamo riusciti a colmare,
anche se non in maniera completa, una grande distanza culturale. Noi italiani,
da quelle parti, continueremo a esserci.
Il testo
di Federico Ghizzoni è disponibile sul portale e può essere ripreso liberamente
citando la fonte ©Infinito edizioni 2012
Per
informazioni, Infinito edizioni: 06/9316241
Maria Cecilia Castagna: 320/3524918