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venerdì 27 febbraio 2015

#8marzoxché: l'opinione di Caterina Giso, giovanissima digital editor

#8marzoxché, riflettiamo sulla festa della donna con la nostra autrice, giovane digital editor Caterina Giso.

L’8 marzo è la Giornata internazionale della donna, ufficializzata dall’Onu nel 1977 come data simbolo per rendere omaggio alle lotte e ai sacrifici della donne che, dall’inizio del 1900, e ancora oggi, lottano per avere pari diritti e per opporsi strenuamente a discriminazioni e violenza. Ha ancora senso, nel 2015, festeggiare la festa della donna, oppure è un’arma a doppio taglio?

 “Se ha ancora senso festeggiare la festa della donna? Dipende proprio dal senso che vogliamo dare. È una questione di diritti o di non-violenza? O meglio ancora si tratta di entrambi? Perché allora la questione riguarda la quotidianità e il nostro modo di viverla. L'8 marzo ha il significato di un traguardo per la storia. Il punto però è che forse, superato il traguardo, ci siamo trovate di fronte un altro ostacolo che ha a che fare con i nostri tempi e con il nostro paese. Quante donne vengono picchiate ogni giorno? Quante muoiono per mano di un uomo? Abbiamo lottato per le pari opportunità, per ritrovarci con i tacchi alti a capo di un'azienda, e intanto il femminicidio è all'ordine del giorno? Ditemelo voi che senso ha festeggiare la festa della donna...”

Come si può evitare che le donne, soprattutto le ragazze giovani, identifichino l’8 marzo con la mimosa e non con il vero significato della festa?

“È colpa nostra: per noi Natale vuol dire regali, san Valentino vuol dire scatole di cioccolatini a forma di cuori... la festa della donna vuol dire mimosa. A quale festa diamo il suo significato reale? Quale festa non vuol dire "regalo". Ci piace sostituire il significato delle cose con le cose. Basterebbe eliminare le mimose, certo. Ditelo a un fiorista” (Caterina Giso, digital editor, autrice di Fare e leggere e-book).


giovedì 26 febbraio 2015

#8marzoxché: un'iniziativa per riflettere sulla Festa della Donna

L’8 marzo si avvicina. La Giornata internazionale della donna è stata istituita dall’Onu nel 1977 in una data che simboleggia le battaglie delle donne che, dal 1900, hanno messo voce e anima per ottenere parità di diritti e per denunciare tutte le discriminazioni e le violenze subìte. Leggendo le testate giornalistiche e non solo, ci si rende conto che questa lotta, iniziata con le manifestazioni per ottenere il diritto di voto e situazioni lavorative migliori, non è ancora stata vinta su tutti i fronti. Certo, in Italia dal 1946 tutte le donne possono votare e, in campo lavorativo, si sono fatti molti passi avanti su assunzioni, stipendi e maternità, almeno sulla carta. Nonostante questo, viviamo in un mondo in cui la figura femminile non è ancora riconosciuta al pari di quella maschile. E non parliamo soltanto di Paesi in via di sviluppo, dove si pratica ancora in maniera selvaggia l’infibulazione sulle bambine, dove i matrimoni sono combinati e violenza e aborti di feti femminili sono pratiche usate quotidianamente. Parliamo anche dei cosiddetti Paesi occidentali industrializzati, dove tanto si sbandierano civiltà e diritti per tutti ma che vedono una donna su tre vittima di stalking e violenza e che, ogni due giorni, viene aggiornato l’elenco delle vittime di femminicidio, reato contro il quale in Italia solo nel 2013 è stata emanata una legge specifica.
Abbiamo chiesto ai nostri autori e a voci importanti del giornalismo e dell’attivismo sociale cosa ne pensano della Festa della Donna ponendo loro due domande. Ogni giorno pubblicheremo le loro risposte, in modo da arrivare all’8 marzo più consapevoli. L’hashtag di riferimento per questa iniziativa sarà #8marzoxché.

L’8 marzo è la Giornata Internazionale della donna, ufficializzata dall’Onu nel 1977 come data simbolo per rendere omaggio alle lotte e ai sacrifici della donne che, dall’inizio del 1900, e ancora oggi, lottano per avere pari diritti e per opporsi strenuamente a discriminazioni e violenza. Ha ancora senso, nel 2015, festeggiare la festa della donna, oppure è un’arma a doppio taglio?

Come si può evitare che le donne, soprattutto le ragazze giovani, identifichino l’8 marzo con la mimosa e non con il vero significato della festa?

Le prime risposte arrivano da Gioacchino Allasia, esperto di Craniosacrale, autore di Cascina Novecento (Infinito edizioni, 2015) e La forza delle mie mani (Infinito edizioni, 2012).


“Il mio Maestro di Shiatsu diceva ‘Quando le donne sono infelici il mondo è infelice; quando le donne sono felici il mondo è felice’. In questa semplice frase si racchiude tutto il senso di disagio di quanto ancora la donna debba sostenere al giorno d'oggi in questa assurda società. Ci sono ragioni antropologiche e soprattutto culturali per cui la donna debba addirittura celebrare un giorno dell'anno la sua festa. Tutto ciò è assurdo e senza alcun senso logico. La donna deve poter affermare non solo l'uguaglianza con l'uomo per quanto concerne i diritti civili sociali di libertà a ogni livello ma deve poter esprimere la sua grandezza di essere più evoluto della nostra specie. Questo perché la donna può procreare e noi uomini non lo possiamo fare. Trovo banale ancora al giorno d'oggi che si debbano festeggiare le donne con le mimose l'8 di marzo. Ciò senza nulla togliere all'importante ricorrenza che cade in quel giorno. Per fare in modo che le giovani generazioni si aprano ad altre percezioni sull'importanza essenziale del ruolo della donna nella nostra società bisogna iniziare dalla scuola, dall'educazione, dalle piccole cose di ogni giorno, ma bisogna farlo con la consapevolezza che quanto ci hanno insegnato fino ad ora sul tema del rapporto uomo/donna e soprattutto sulla donna di per sé è lontano anni luce da come dovrebbe essere” (Gioacchino Allasia).

mercoledì 25 febbraio 2015

No al colosso Mondadori-RCS

E' di pochissimi giorni fa la notizia, non ancora ufficiale, dell'acquisto da parte del gruppo Mondadori di Rcs libri. Se l'operazione dovesse andare in porto si creerebbe un gruppo editoriale che controllerebbe una percentuale enorme del settore. 

Riportiamo il commento dell'Osservatorio degli editori indipendenti (Odei).

La notizia dellofferta di acquisto della Rcs libri da parte del gruppo Mondadori è l’ultimo, preoccupante segnale di quello che sta avvenendo all’interno del mercato editoriale italiano. Un soggetto capace di controllare il 40% del settore (caso unico in Europa) e che non avrebbe di fronte alcun concorrente di pari dimensione, potrebbe di fatto orientare l’intera produzione editoriale. Sarebbe infatti drasticamente ridotta la possibilità di scelta degli autori e di conseguenza la loro forza contrattuale. Ancora più allarmanti sarebbero gli effetti nei confronti delle librerie, e in particolare delle librerie indipendenti, condannate di fatto ad accettare le scelte distributive del Megagruppo o, in alternativa, a essere condannate alla marginalità e probabilmente alla chiusura. L’entrata in scena di un attore che sovrasterebbe tutti gli altri non potrebbe, in definitiva, che tradursi in una riduzione della concorrenza, del mercato, del pluralismo editoriale e culturale.
Odei, Osservatorio degli editori indipendenti, dice di no ad una nuova concentrazione, proprio mentre sta prendendo il via la fusione fra Messaggerie e Pde-Feltrinelli con la nascita di una posizione dominante nella distribuzione per conto terzi. Denuncia le condizioni sempre più difficili in cui lavorano ed operano piccoli e medi editori indipendenti che svolgono tuttora un prezioso lavoro di ricerca ma le cui condizioni di sopravvivenza si fanno via via più difficili. E insieme ricorda il gravissimo calo degli indici di lettura in Italia. Invita il ministero della Cultura e l’Autorità per la Concorrenza a vigilare sugli effetti che la nuova concentrazione potrebbe produrre e a lavorare per garantire anche nel settore librario le possibilità di una effettiva concorrenza.

Odei (Osservatorio degli editori indipendenti)
info@odei.it – www.odei.it – www.bookpride.it

martedì 24 febbraio 2015

Mi chiamo Beba: la vittoria delle donne in un articolo su Il punto a mezzogiorno

Il nuovo libro di Palma Lavecchia, Mi chiamo Beba è stato recensito su Il punto a mezzogiorno. La bellissima copertina colorata e luminosa, che rispecchia in pieno lo stile del libro, fa breccia nell'articolo. Il libro di Palma Lavecchia parla di una tematica dura e tragica, che è quella della violenza contro le donne, ma dà anche un messaggio di speranza e di pace, limpido e puro, come l'amore per un figlio, per Mattia, l'unico che saprà dare la vera forza alla madre, Benedetta, per affrontare le difficoltà e rinascere a nuova vita. Con un nuovo nome: Beba.

Di seguito l'incipit dell'articolo su Il punto a mezzogiorno:

"La violenza di genere è tra gli argomenti di maggiore attualità del momento. In tanti hanno una propria ricetta per affrontare il problema della violenza sulle donne, quella scelta da Palma Lavecchia è un racconto intriso di esperienza e di speranza. “Mi chiamo Beba” è l’ultima fatica letteraria della scrittrice pubblicata da Infinito Edizioni, che da qualche giorno è in vendita nelle librerie oppure online sul sito della stessa Casa Editrice www.infinitoedizioni.it oppure su altri grandi store".



Buona lettura!

lunedì 23 febbraio 2015

La migliore gioventù in diretta su Sport Italia

Venerdì scorso su Sport Italia si è parlato del nuovo libro di Daniele Nardi, attualmente impegnato nella conquista del Nanga Parbat, e Dario Ricci, giornalista di Radio24-IlSole24Ore


Durante la diretta con telecronaca delle partite del campionato di calcio, Dario ha presentato La migliore gioventù. Vita, trincee e morte degli sportivi italiani nella Grande Guerra, con la prefazione di Giovanni Malagò, presidente CONI, introduzione di Sergio Giuntini e postfazione di David Baldini. L'iniziativa rientra nel programma ufficiale delle commemorazioni del centenario della prima Guerra mondiale a cura della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Struttura di Missione per gli anniversari di interesse nazionale. I patrocini sono importantissimi: Centenario della Prima Guerra Mondiale, Presidenza del Consiglio dei Ministri e Federazione Alpinistica Ticinese.
Dario ha ricordato alcuni nomi importanti a cui è stata data voce nel libro: un esempio su tutti Virgilio Fossati, trascinatore dell'Inter e capitano della Nazionale azzurra di calcio. I protagonisti a volte sono un lampo negli occhi e un tuffo al cuore, come Enzo Ferrari o Tazio Nuvolari, altro volte sono inattesi e sorprendenti, tutti arrivati al fronte da tante parti d'Italia per difendere il proprio Paese e conquistare una medaglia diversa dal solito, sullo sfondo di quelle montagne che furono tra gli scenari più suggestivi e tragici della prima guerra mondiale. 
Quasi nello stesso momento anche Daniele Nardi, direttamente dal Nanga Parbat, ricorda La migliore gioventù dal suo account Facebook, con questo bellissimo messaggio: 


"Pazzesco! Anche il libro “La migliore gioventù” dedicato agli sportivi della prima guerra mondiale è uscito in libreria.
L'idea e' di Dario, io c'ho messo entusiasmo, voglia di montagna, un pizzico di saggezza alpinistica e...la voce narrante!!"
Dare luce a quegli sportivi che hanno vissuto la Prima guerra mondiale raccontandoli da un altro punto di vista. C’è chi è tornato, chi è rimasto sui campi di battaglia, chi tornando a causa di ferite di guerra non ha più potuto gareggiare. L’Italia perse un pezzo importante della sua storia sportiva durante la guerra. Una passeggiata in montagna fatta in estate con Dario Ricci e Vittorio Misiti ci ha permesso di ripercorrere alcuni dei tracciati della guerra per guardarli con un occhio diverso. Attraverso la cengia Martini, su per i cunicoli del Lagazuoi pensando a quegli atleti che durante la guerra lasciarono sul campo di battaglia le speranze di una ripresa sportiva. Un libro da leggere d’un sol fiato per sognare e fare in modo che …non accada mai piu! Buona lettura e grazie alla casa editrice Infinito edizioni, a Luca Leone e a Maria Cecilia Castagna".

Ricordiamo che il libro è appena uscito in tutte le librerie e disponible su tutti i maggiori store on line e sul nostro sito a questo link.
Buona lettura a tutti! 

venerdì 20 febbraio 2015

Dolomiti, Grande Guerra e sportivi in trincea: La migliore gioventù di Daniele Nardi e Dario Ricci

Le Dolomiti che svettano nel cielo terso di montagna, tanto blu da far male agli occhi. Difficile pensare che tanta bellezza sia stata funestata della Grande Guerra e che il sentiero che ora si percorre con l’adrenalina della salita sia stato teatro di morte. Le trincee feriscono ancora oggi le rocce, cosparse di schegge di bombe, proiettili di piombo e resti di gavette o di lanterne dei nostri soldati al fronte. Chi erano questi giovani? La guerra non guarda il nome sulla carta d’identità, né i traguardi raggiunti. Le fatiche e le gioie per conquistare un traguardo sul ring, in pedana, sul campo da calcio, in un circuito o sulla pista di atletica non hanno risparmiato a questi giovani gli orrori della guerra, dove la sfida principale, la vera vittoria, era la sopravvivenza.
Daniele Nardi e Dario Ricci, dopo In vetta al mondo si armano di piccozza e penna per raccontarci le storie de La migliore gioventù. Vita, trincee e morte degli sportivi italiani nella Grande Guerra. Da Enzo Ferrari al mantovano Tazio Nuvolari, dal grande schermitore livornese Nedo Nadi a Virgilio Fossati, trascinatore dell'Inter e capitano della Nazionale azzurra di calcio, fino a protagonisti inattesi e sorprendenti arrivati al fronte da tutta Italia, sullo sfondo di quelle montagne che furono tra gli scenari più suggestivi e tragici della prima guerra mondiale.
“Nardi e Ricci si sono calati nella parte, sono tornati nei luoghi martoriati dalla guerra per omaggiare la memoria di chi non è più tra noi, hanno ricordato quel momento così buio da una prospettiva nuova, originale, che ci dà l’esatta concezione di cosa significhi davvero lo sport”. (Giovanni Malagò)
“La vicenda umana, militare e sportiva nell’emozionante testo di Nardi e Ricci s’intreccia con quella di (…) marciatori, calciatori, ginnasti, pugili, ciclisti, schermidori, canottieri, piloti automobilisti, ognuno con una storia di piccoli e grandi eroismi. Molti caduti sul campo. Tutti tornati a rivivere in questo libro senza retorica, onesto e obiettivo nel suo descrivere la Grande Guerra con un respiro ricco di veri, indimenticabili, momenti di gloria”. (Sergio Giuntini)
L’iniziativa rientra nel Programma ufficiale delle commemorazioni del centenario della prima Guerra mondiale a cura della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Struttura di Missione per gli anniversari di interesse nazionale
Con il patrocinio della Federazione Alpinistica Ticinese

giovedì 19 febbraio 2015

#SeUnUomoTiPicchiaNonèMaiPerAmore


Boom di visualizzazioni sul blog, sul sito e sui social per Mi chiamo Beba. Se un uomo ti picchia non è mai per amore, di Palma Lavecchia, scrittrice e Capitano dei Carabinieri. Il libro racconta una storia che è vera per una donna su tre in Italia. Il finale però sorprende: se è vero che, nella realtà, un racconto di questo tipo il più delle volte sfocia nella più triste ed efferata cronaca nera, l'autrice vuole lanciare un messaggio di speranza. Benedetta, la protagonista del racconto, nascerà a nuova vita grazie all'amore per suo figlio, il piccolo Mattia, che le darà la forza che non pensava di avere. Ricomincerà a respirare e a vivere, con un nuovo nome.
A pochi giorni dal 14 febbraio, che abbiamo voluto ricordare come giorno della Rivoluzione di One Billion Rising per un amore vero, senza violenza, vi regaliamo un estratto dal libro Mi chiamo Beba, un romanzo che apre gli occhi su stalking e violenza, disegnato dalla penna delicata e forte, dolce e dirompente di Palma Lavecchia.

"Fisso la luce di una lampada, puntata dritta dentro gli occhi. Ho freddo. Sento una voce che mi chiede come mi chiami e io credo di rispondere, ci metto forza, ma la voce non esce, mi si spegne in gola. Avverto un pizzico; anzi, più di uno: forse mi stanno suturando, credo sia sullo zigomo, ma non ne sono troppo sicura. Non ricordo nulla di quanto accaduto, non saprei dire neppure dove, esattamente. Credo di aver capito che mi abbiano trovata riversa per terra nei pressi del campo sportivo: l’ho sentito dire alla dottoressa, o a un’infermiera, mentre ne parlava con qualcuno, forse un carabiniere. Ma io non ricordo nulla; la testa mi gira vorticosamente, le immagini s’intrecciano come dentro un caleidoscopio..." (Mi chiamo Beba, Infinito edizioni).

#SeUnUomoTiPicchiaNonèMaiPerAmore

mercoledì 18 febbraio 2015

Fare e leggere e-book di Caterina Giso su Connessioni Letterarie


Il libro di Caterina Giso Fare e leggere e-book è stato recensito su Connessioni Letterarie, un blog e non solo, piuttosto un luogo "in cui la letteratura diviene connessione col mondo circostante, perché la cultura è rete e nodo".

Fare e leggere e-book racconta come muoversi nel mondo del digitale, come fare e-book, quali sono i formati più all'avanguardia e le più recenti tecnolgie di lettura e di protezione dei diritti digitali. Tutto in modo agile, semplice e preciso, grazie allo stile fresco e dinamico che caratterizza la collana GutenbergLab, un progetto che mira a fare cultura con manualetti tascabili e di facile consultazione. Nella stessa collana, infatti, troviamo Fare editoria. Viaggio tra i mestieri del libro, di Luca Leone, giornalista, scrittore ed editore che spiega tutti i passi per entrare nel mondo editoriale, dalla correzione della bozza, alla tipografia, alla libreria, passando dal digitale.

Riportiamo una piccola parte della recensione sul sito Connessioni Letterarie, di cui ringraziamo la redazione e lodiamo il progetto. Il post su Fare e leggere e-book è stato uno dei più condivisi su tutti i principali social network.

"Fare e leggere e-book è un saggio interessante che offre una panoramica dettagliata sulla nuova frontiera dell’editoria digitale e fa chiarezza su cosa sia realmente un ebook. Un prezioso manuale per scoprire il mondo degli e-book e far luce sulle problematiche legate all’editoria digitale. Un lavoro che parte dall’abc dell’editoria digitale spiegando cosa sono i libri digitali, come sono nati, quali sono i formati in commercio, le loro modalità di fruizione, il loro impatto sociale e culturale."  





giovedì 12 febbraio 2015

Mille sfumature di San Valentino: amore uguale e libero per tutti

In occasione della festa degli innamorati, il 14 febbraio ci associamo a due bellissime iniziative, mondiali e nazionali. La prima è One Billion Rising, da un’idea di Eve Ensler, scrittrice del libro I monologhi della vagina: anche quest’anno, per la terza volta, le donne si alzeranno in un coro di danze da ogni parte del mondo per dire il loro no a stalking e violenza.
La seconda iniziativa è Piazzate d’Amore #LoStessoSì, un modo originale per dire che l’amore è uguale per tutti. In 26 piazze italiane ci sarà un’invasione di  cuori rossi con al centro il simbolo “=” per dire no all’odio e rispondere a certe “manifestazioni in piedi” di recente memoria.
In aggiunta, vista la recente attenzione a una serie di amorose sfumature più o meno colorate, vogliamo regalarvi un assaggio di un vero romanzo erotico, un capolavoro che proviene dalle Isole Canarie. Il libro si intitola I lavori di Ester, del grande Sabas Martìn, di cui siamo l’unica casa editrice di riferimento in Italia. Una sapiente fusione di ironia ed erotismo in un libro tutto da godere con l’eleganza che solo la letteratura verace sa dare.

“A poco a poco, animato dalle carezze, il gonfiore tra le cosce di Jacobo cresceva, risvegliandosi nella cavità della mano che lo inanellava. Irene tirò la pelle con parsimonia, ripiegandola per scoprire quella testa di brace accesa che palpitava viva e gioiosa tra le dita. A sua volta, Jacobo premeva dolcemente le labbra prominenti del sesso di Irene, giocherellava con il pelo crespo della vulva, accarezzava la fenditura, sfregava il clitoride, e il suo dito palpava la fossa rosea dalla quale lentamente entrava e usciva.
Era un gioco lento, tranquillo, che lasciava che i sensi godessero nella scoperta del piacere della lentezza. Irene e Jacobo ritardavano il fluire del tempo con le loro carezze e in quel lento ritardo si moltiplicava la veemenza delle sensazioni.
Alla fine, i loro corpi si cercarono per possedersi. Irene aprì le cosce e Jacobo navigò al loro interno. La penetrò con una calma infinita, lasciando che i suoi occhi conservassero nella loro limpida e profonda nerezza la luminosa immagine di Irene. Sentì come tremavano i pori della sua pelle prima di sprofondare completamente.
Si amarono sentendosi, appartenendosi, fusi entrambi nella stessa estasi dei battiti del sesso e del cuore che palpitava, come il mare, all’unisono.
Irene volle prolungare quell’istante e desiderò che quell’amore fosse definitivo.
Forse lo era.
Ma adesso non le importa.
Adesso gode soltanto.”

Buona lettura e buon San Valentino a tutti.

martedì 10 febbraio 2015

I grandi editori contro la legge Levi

Riceviamo e pubblichiamo il comunicato diffuso dall'Osservatorio degli editori indipendenti (Odei), di cui Infinito edizioni, casa editrice è socio fin dalla fondazione.
Fra le pieghe del ddl sulla Concorrenza che approderà in consiglio dei ministri il 20 febbraio c’è una sorpresa davvero spiacevole per gli editori e le librerie indipendenti. Una “manina”, allo stato attuale dei fatti ancora anonima, ma facilmente identificabile seguendo la logica del “a chi conviene” ha infilato nel provvedimento (articolo XX) alcuni emendamenti che sostanzialmente abrogano la legge che regolamenta lo sconto sul prezzo dei libri. Cancellando in particolare il limite del 15% per lo sconto.
Se approvata, l’abrogazione della legge Levi farebbe ritornare di colpo il mercato editoriale alla legge del più forte, con le librerie di catena invase da libri a sconti praticabili solo dai grandi gruppi editoriali, gli unici che, anche grazie alle concentrazioni “verticali” (la stessa proprietà ha case editrici, distribuzione e librerie), si possono permettere questo tipo di offerta. Un colpo mortale per gli editori indipendenti (che già hanno margini risibili per sopravvivere) e per le librerie indipendenti. Un nuovo, grave elemento di distorsione della concorrenza nel mercato editoriale. Di fatto una ulteriore riduzione del pluralismo editoriale e culturale.
Per questo Odei, L’Osservatorio degli editori indipendenti:
– denuncia con forza il tentativo di eliminare l’unico, per altro ancora insufficiente, provvedimento che limita lo strapotere delle grandi concentrazioni editoriali.
– invita il governo e tutte le forze politiche a opporsi al tentativo di allontanare l’Italia dall’Europa (basta confrontarsi con le legislazioni sul prezzo dei libri di Francia, Germania, Spagna e molti altri paesi Ue).
– annuncia che in occasione di “Book Pride”, la prima fiera dell’editoria indipendente, in programma a Milano dal 27 al 29 marzo, presenterà una propria bozza di proposta di legge per rafforzare la difesa della bibliodiversità e la possibilità di sopravvivenza di piccoli e medi editori di qualità e delle librerie indipendenti.
info@odei.it | www.odei.it

venerdì 6 febbraio 2015

Giornata mondiale contro l'infibulazione e le mutilazioni genitali femminili: in regalo un estratto dal libro Donne che vorresti conoscere, di Emanuela Zuccalà

Le mutilazioni genitali femminili (MGF), sono pratiche tradizionali che vengono eseguite principalmente in 28 paesi dell'Africa sub-sahariana, per motivi non terapeutici. Tali pratiche ledono fortemente la salute psichica e fisica di bambine e donne che ne sono sottoposte.
L’Organizzazione mondiale per la Sanità ha stimato che siano già state sottoposte alla pratica 130 milioni di donne nel mondo, e che 3 milioni di bambine siano a rischio ogni anno. Il 6 febbraio si celebra in tutto il mondo la Giornata Mondiale contro l'infibulazione e le mutilazioni genitali femminili, che, purtroppo, conoscono una serie di declinazioni e specificità.
Tutte queste mutilazioni ledono gravemente sia la vita sessuale sia la salute delle donne, ed è a tutela di queste ultime che si adoperano i movimenti per l'emancipazione femminile, soprattutto in Africa.
Le mutilazioni genitali femminili hanno gravissime conseguenze sul piano psicofisico, sia immediate (con il rischio di emorragie a volte mortali, infezioni, shock), sia a lungo termine (cisti, difficoltà nei rapporti sessuali, rischio di morte nel parto sia per la madre sia per il nascituro).
Per ricordare questa data regaliamo un estratto dal libro di Emanuela Zuccalà dal titolo Donne che vorresti conoscere in cui si affronta questo tema.

Il grande albero protettore delle sue notti di paura sta ancora lì, a presidiare i sentieri dell’infanzia. Nice l’osserva con antica gratitu­dine, forse pensando che l’acacia sia l’unico personaggio rimasto inerte in questa savana ventosa nel sud del Kenya, sorvegliata dal Kilimanjaro che appare e scompare dietro la corsa delle nuvole.
Per spiegare la rivoluzione che dal villaggio masai di Nomayianat sta investendo l’intera area, Nice torna indietro di quindici anni, quando lei era una piccola orfana terrorizzata che sgattaiolava fuori da casa dello zio per scomparire sotto il grande albero nell’attesa che le luci del gior­no e l’eccitazione per la cerimonia facessero dimenticare la sua assenza nel conteggio delle bambine da “tagliare”. Per due volte s’è sottratta in questo modo all’emuatare, il sanguinoso e ineluttabile rito di passag­gio all’età adulta per le femmine, guidata solo da un istinto infantile impossibile da addomesticare: «Sapevo che avrei pianto e gridato, con­dannando la mia famiglia alla vergogna. Durante la circoncisione, le bambine masai devono stare zitte e ferme sulla pietra, senza muovere neppure gli occhi, altrimenti nessuno le vorrà in spose. Per questo sarei fuggita all’infinito. Ma lo zio insisteva, così mi decisi ad affrontare mio nonno, il capofamiglia: “Non voglio essere tagliata – gli dissi – ho solo otto anni e, prima di diventare donna, devo finire la scuola”. Lui era sbalordito ma era un uomo buono: finì per cedere alla mia insistenza».
Oggi Nice Nailantei Leng’ete è una ventitreenne alta e sinuosa, pros­sima alla laurea in management sanitario e convinta che bastino un ideale e una testa dura per ribaltare il mondo. Lei c’è già riuscita qui, nella società profondamente patriarcale dei pastori masai sparsi per il paesaggio attorno alla cittadina di Loitokitok. Impegnata fin da ado­lescente con l’organizzazione sanitaria Amref («Ero l’unica ragazza del villaggio a saper leggere e scrivere: mi hanno scelta come mediatrice tra gli operatori e la comunità masai»), ha trovato la chiave dello sviluppo esorcizzando il suo spauracchio di bambina: il “taglio”. Perché «una ragazza circoncisa, anche se ha solo otto o dieci anni, è considerata una donna: deve sposarsi e fare figli. Abbandonerà la scuola e non saprà fare nulla se non badare alla casa e ai bambini, perpetuando l’inerzia del­la sua comunità». La ragazza istruita, invece, «porta più mucche», sta scritto sulla sua t-shirt: uno slogan semplice ed efficace che ha indotto a capitolare gli anziani masai esattamente come la piccola Nice, quindici anni fa, era riuscita a persuadere suo nonno.
«L’abbiamo ascoltata perché è una di noi», dice Lemura Nkolepo, anziano del villaggio di Nomayianat, avvolto nel mantello rosso e appoggiato all’esiere, il bastone simbolo del potere maschile. «Ci ha spiegato cose che non avevamo mai sentito prima, dandoci la speranza che, con questa innovazione, potremo tutti prosperare».
(…)
L’eco internazionale non è tardata: Nice Nailantei Leng’ete è stata invitata a tenere una Ted Conference ad Amsterdam e un discorso alla Clinton Global Initiative di New York. «È stato esaltante, come supe­rare un esame importantissimo – confida – e poiché nessuno all’estero riusciva a pronunciare il mio nome intero, ho detto a tutti: chiamate­mi pure Miss Kilimanjaro, è più semplice». Ha anche viaggiato in Ita­lia come testimonial di Amref per la salute materno-infantile in Africa: condannare l’escissione, infatti, è un passo verso parti più sicuri, e il concetto è arrivato persino a chi sulla circoncisione femminile ha sempre campato.
La faticosa opera di persuasione, sulla quale in pochi avrebbero scom­messo uno scellino, pare ormai compiuta tra i masai di Loitokitok, e Nice cammina per la savana come una regina fasciata nei suoi abiti tra­dizionali viola e azzurri, salutata e benedetta da tutti come una figlia capace di bizzarre alchimie. Dal dicembre del 2013 all’aprile successivo, ha sottratto alla mutilazione genitale 621 ragazze dei distretti rurali, in­ventandosi un “rito di passaggio” alternativo che rispetta le usanze masai mondandole dal sangue. «Siamo diventate donne senza soffrire», sorride Anita, quindici anni, studentessa della scuola di Inkariak Ronkena. Che racconta: «La cerimonia d’iniziazione è identica a quella tradizionale, con danze e sacrifici di capre e mucche, solo che non c’è alcun taglio. Gli anziani benedicono i nostri libri, i quaderni e le penne, per inco­raggiarci a studiare, mentre in passato auguravano alle ragazze solo di trovare marito in fretta. Prima della festa, abbiamo seguito un training di due giorni sull’educazione sessuale, l’igiene personale, le conseguenze dannose del taglio e i nostri diritti di donne».
(…)
«L’istruzione è la nuova circoncisione, l’autentica iniziazione all’età adulta. – recita un altro slogan inventato da Nice – Solo andando a scuola, una bimba può diventare la donna dei propri sogni». E qual è la donna dei tuoi sogni, Nice? Lei alza gli occhi al cielo nuvoloso, con uno sguardo rimasto bambino, e non tradisce dubbi: «Voglio di­ventare la presidente di un’organizzazione con tanti fondi, per poterli investire nell’educazione di queste ragazze. Solo in loro sta il futuro della nostra comunità e del nostro Paese».
Il congedo è una danza sulla terra rossa tra canti acuti in onore di Nice, ambasciatrice di un’Africa che s’è scrollata di dosso il cliché dell’inerzia.

mercoledì 4 febbraio 2015

LE MILLE SFUMATURE DI GRIGIO DELL’URANIO IMPOVERITO – DI STEFANIA DIVERTITO

a cura di Stefania Divertito, dal sito di Infinito edizioni

Il presidente Sergio Mattarella è un santo, così come nelle agiografie lette sui quotidiani, o il responsabile indiretto delle malattie di centinaia di nostri soldati impiegati nelle missioni all’estero, come invece sembra sfogliando forum, blog, prese di posizione?
In quest’Italia di bianchi o neri, le uniche sfumature di grigio ammesse sono quelle di certa letteratura che tra qualche giorno finirà al cinema. E invece, mai come in questa storia, ci muoviamo nel grigio.
Parliamo di uranio impoverito o meglio, come la scienza oramai ci dice con chiarezza, di inquinamento bellico: l’inalazione o l’ingerimento di aerosol di nanoparticelle di metalli pesanti. Ne scrivemmo dieci anni fa in un libro (Uranio, il nemico invisibile) in cui abbiamo ricostruito nei dettagli la vicenda. Dettagli che interessano in pieno l’attuale presidente della Repubblica che nel 2000 (e fino a giugno 2001) fu ministro della Difesa.
La domanda è: avrebbe potuto agire diversamente per tutelare i nostri soldati che si stavano “misteriosamente” ammalando dopo le missioni “di pace” nei Balcani?
Prima di esaminare quei mesi turbolenti, in cui sembrava che tutti i nostri soldati dovessero ammalarsi (fortunatamente non è così), una doverosa precisazione scientifica.
L’anno successivo alla pubblicazione del libro, nell’agosto 2006, fummo invitati a Hiroshima, alla prima conferenza internazionale sull’uranio impoverito. C’erano scienziati da tutto il mondo, ma la vera novità fu introdotta, e successivamente approfondita, da due studiosi italiani, coppia nel lavoro e nella vita, Stefano Montanari e Antonietta Gatti. Noi ne avevamo scritto nel libro ma negli anni i loro studi sono diventati patrimonio della comunità scientifica internazionale: attraverso l’utilizzo di un microscopio a scansione elettronica riuscirono a individuare le nanoparticelle killer prodotte dall’uranio impoverito, che esplode a elevatissime temperature, superiori ai 3.000 gradi, creando aggregati di metalli pesanti non esistenti in natura. Altamente tossici, se inalati o ingeriti riescono, anche grazie alla loro nanometrica dimensione, a bypassare le nostre difese e ad aggredire organi e cellule.
Ci scrive Montanari in una testimonianza: «Leggendo centinaia di articoli, pare che basti stare a contatto o nelle vicinanze di quei proiettili o di quel materiale per contrarre malattie. Di fatto non è così e basta controllare ciò che accade ai tecnici e agli operai che lavorano proprio quei proiettili per fabbricarli. Ad oggi, dopo decenni, non risultano tra loro patologie in qualche modo assimilabili a quelle dei civili e dei militari “vittime dell’uranio impoverito”. Come, per averci lavorato sopra di prima mano per oltre 10 anni, ho scritto fino all’esaurimento delle forze, da articoli a post di blog a libri, l’uranio altro non è se non una sostanza piroforica che produce quantità immani di nanoparticelle, e sono quelle ciò che troviamo da anni nei reperti dei 200 e passa militari che abbiamo avuto modo di studiare. Mai abbiamo trovato la minima traccia non solo di uranio (ho spesso spiegato il perché di questa apparentemente strana assenza) e di radioattività. Così, dunque, l’uranio c’entra sì, ma solo come produttore di polveri quando il proiettile urta il bersaglio. Stessa cosa accade per il tungsteno, stessa cosa con tutti gli esplosivi. L’uranio è particolarmente econanotossico perché, stante la temperatura che induce (3.000°C abbondanti), genera quantità enormi di polveri. Il tungsteno viaggia a oltre 5.000°C e dunque fa peggio, ma si usa raramente. Questo non significa che non sia anch’esso tra i colpevoli».
Precisazione doverosa perché negli anni ‘90 gli Usa erano già arrivati alla conclusione che la pericolosità dell’uranio fosse chimica, indotta dall’inalazione, e lo avevano scritto in documenti che si trovavano addirittura in internet (e che noi abbiamo allegato all’appendice del libro). Domanda: perché l’allora ministro della Difesa e i suoi generali continuavano a parlare di radioattività di fatto spingendo il dibattito su argomentazioni facilmente confutabili?
Il 16 dicembre 2000 il ministro sostenne ai microfoni dell’Ansa: «Non c’è alcun motivo di allarme. Non vi è collegamento tra l'uso di uranio impoverito che c’è stato in Kosovo e in qualche località della Bosnia in maniera assai più ridotta, con gli allarmi di cui si parla». Pur con tutte le attenuanti dovute a un periodo in cui l’allarme per le morti dei soldati era arrivato nei titoli dei tg della sera, cavalcato da chi si opponeva all’intervento militare nei Balcani, sarebbe stato più prudente non sbilanciarsi a favore di una o di un’altra tesi.
In “Uranio, il nemico invisibile” riportiamo la storia di Andrea Antonaci, morto il 13 dicembre 2000 che, già agli sgoccioli della sua giovane vita, aveva rilasciato un’intervista a Striscia la Notizia dicendo di essersi ammalato di uranio impoverito.
Il ministro Mattarella, pur manifestando solidarietà alla famiglia, spiegò che non era possibile perché Andrea aveva prestato servizio in Bosnia e lì l’uranio era pressoché inesistente. Due giorni dopo, il 18 dicembre (fonte Ansa) Mattarella tornò a parlare di «allarme ingiustificato». «Agli italiani sono state impartite tutte le indicazioni di prudenza e tutti i dati, gli elementi, le notizie che abbiamo dicono che per i nostri militari non c'è motivo di allarme».
Ma il 21 dicembre in Commissione Difesa della Camera dovette snocciolare i dati sull’uso di uranio, non solo in Kosovo ma anche in Bosnia. La colpa – affermò il ministro – era che la Nato non ci aveva avvisato in tempo del rischio. Ancora un’Ansa per il virgolettato preciso: «Appare necessario prevedere in seno all'Alleanza Atlantica procedure più adeguate di condivisione delle informazioni e approntare misure comuni su materie così delicate». Ed espresse rammarico verso la Nato: «Le organizzazioni internazionali interessate forniscono solo ora e per nostra richiesta un'informazione importante per la sicurezza della comunità bosniaca così come per quella internazionale». Insomma, avevamo appreso solo allora e grazie a nostre insistenze che era stato usato uranio in Bosnia.
Ma neanche 24 ore dopo fu smentito direttamente dal comando di Bruxelles: l’Ansa riporta il 22 dicembre che «alcune fonti della stessa Nato esprimono ''sorpresa'' perché “l'utilizzo dei proiettili in quelle operazioni non è un segreto da anni”. Le stesse fonti hanno lanciato un'ipotesi: “le informazioni sull'uso di proiettili all'uranio impoverito potrebbero non aver compiuto a suo tempo in Italia l'intero percorso dai livelli militari ai responsabili politici”».
Mattarella, molto probabilmente all’oscuro, dunque, non replicò. Annunciò che presto avrebbe formato una commissione medico scientifica guidata dal famoso ematologo Franco Mandelli. Il 4 gennaio il ministero organizzò un volo per Sarajevo. C’eravamo anche noi. Il ministro ci fece parlare con i soldati che apparivano tranquilli. Ma alcuni di loro, spente le telecamere, ci facevano domande precise: «Rischiamo qualcosa? Ci sono problemi?». Chiedemmo loro se andavano in giro con precauzioni ma la risposta era univoca: non ce n’era bisogno perché era stato detto loro che non c’erano rischi.
Sul volo di ritorno il ministro dichiarò: «Non è in discussione il leale impegno dei vertici militari, di tutti i vertici militari, cui va il mio più grande apprezzamento». Era una risposta indiretta alla Nato? E chi si preoccupava di rispondere alle domande dei soldati?
La Commissione Mandelli lavorava e a sorpresa già il 27 gennaio di quell’anno Mattarella annunciò che presto sarebbero arrivati i primi risultati. Quello che accadde è trascritto nelle tre relazioni prodotte da Mandelli e dal “braccio destro”, il fisico Martino Grandolfo: la prima relazione aveva molti buchi. Mancavano informazioni, dati, numeri. Lo stesso presidente dell’Ail volle continuare a lavorarci. Ma per i giornali bastava la frase: “Non trovato il nesso tra uranio e malattie”. Mandelli aveva precisato che non era in grado di cercarlo, quel nesso, con gli strumenti a disposizione. E lo scrisse anche nella seconda e nella terza relazione che arrivarono l’anno successivo. Ma – come abbiamo detto – in Italia i grigi piacciono solo al cinema.
Per più di venti volte i tribunali italiani hanno condannato lo Stato italiano a risarcire le famiglie di soldati deceduti. Ci sono più di 300 militari morti dopo le missioni. Più di mille sono i malati. L’allora ministro Mattarella non poteva saperlo. Ma dall’inizio degli anni ‘90 gli Usa conoscevano la pericolosità dell’uranio, da dopo la Sindrome del Golfo e sostengono di non avercelo nascosto. Quei documenti, d’altro canto, 15 anni fa si trovavano anche su internet, bastava cercarli. Era indispensabile mostrare quella sicurezza, gridare al “nessun allarmismo” e mostrarsi più preoccupato di rasserenare gli animi che di appurare il più rapidamente possibile la verità, di difendere i vertici militari invece, forse, di scoprire se qualcuno - che ne avesse avuto la possibilità - lo avrebbe dovuto informare meglio? Le famiglie delle vittime in quasi tutti i casi di vittoria in tribunale stanno ancora aspettando i risarcimenti. Sappiamo che si stanno coordinando per scrivere una lettera al nuovo presidente della Repubblica, e nuovo capo supremo delle Forze Armate.
Sarebbe meraviglioso, e finalmente giusto, se in questo nuovo corso di pacificazione, come sembra si possa evincere dal discorso di insediamento, il Capo dello Stato possa innescare l’input del riconoscimento di quanto dovuto ai familiari di queste vittime dello Stato. 

lunedì 2 febbraio 2015

Ribasso rpezzi e-book, dal 9 al 40%!

Il 2015 si è aperto con una piccola buona notizia per l’editoria italiana: l’Iva sugli e-book è passata dal 22% al 4%. Abbiamo sostenuto la campagna#unlibroèunlibro su Twitter e su Facebook partecipando con un’intervista ai nostri direttori Maria Cecilia Castagna e Luca Leone e spiegando ai lettori cosa sarebbe effettivamente cambiato nel caso in cui la riforma fosse passata.
Siamo ora in grado di annunciare ai nostri lettori che a partire da oggi, lunedì 2 febbraio 2015, i prezzi di listino dei nostri e-book si abbasseranno dal 9% al 40%. Lo sconto minimo sarà di 50 centesimi, fino a uno sconto massimo di 5 euro dal prezzo di partenza con l’Iva al 22%. Abbiamo infatti approfittato della rimodulazione dell’Iva anche per rivedere i prezzi di tutti i nostri e-book, cercando di ribassarli tutti il più possibile. Per questa ragione abbiamo impiegato un paio di settimane di troppo per procedere con questa comunicazione. A questo si aggiunga la necessità d’intervenire su ogni singolo libro, sia sul nostro sito che sugli store nazionali e internazionali, per variare i prezzi “pezzo per pezzo”: un lavoraccio! Infine, non di poco conto è stata la sgradita e sgradevole “visita” dei ladri nella nostra redazione, che ci ha ulteriormente rallentato. Ora siamo finalmente pronti, scusandoci per il ritardo.
I nostri e-book saranno quindi più economici sia su tutti i principali store online sia direttamente sul nostro sito www.infinitoedizioni.it
Anzi, sul nostro sito proporremo in alcuni casi prezzi ancor più bassi che non sugli store online, per venire ancora più incontro alle giuste esigenze di risparmio e di qualità dei nostri lettori.