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lunedì 13 aprile 2015

Giardino atomico. Ritorno a Chernobyl di Emanuela Zuccalà

Chernobyl, 26 aprile 1986. L’esplosione del reattore numero 4 della centrale nucleare ucrai­na scatena una potenza radioattiva quattrocento volte superiore alle bombe sganciate dagli americani su Hiroshima e Nagasaki. Il disastro viene minimizzato, inizialmente nascosto, dalle autorità sovietiche dell’epoca e ancora oggi non se ne conosce appieno l’intera magnitudo.
Tre decenni dopo, quando i lavori di messa in sicurezza della struttura sono ancora lentamen­te in corso, Emanuela Zuccalà racconta in questo libro la sua indagine sul campo, arrivando a toccare il mostro atomico con mano, a pochi metri dal sarcofago in cemento, il monumento funebre che imprigiona il reattore nucleare.
Le bugie sulla gravità dell’incidente; la nube radioattiva che ha toccato Europa e Nord Ameri­ca; i “liquidatori” che hanno perso la vita a pochi giorni dall’esplosione; donne, uomini e bam­bini morti o gravemente malati a causa degli effetti della radioattività, del Cesio 137 e dello Stronzio 90 liberati in natura. I dati pubblici dell’Unscear e il governo ucraino affermano che il pericolo è passato, minimizzando il rischio, ma le indagini indipendenti di Greenpeace e di Legambiente asseriscono il contrario: chi è tornato o si è trasferito a vivere sui terreni e nelle case nei dintorni della centrale è costantemente a rischio.
Sul pianeta ci sono 442 centrali nucleari attive e 65 in fase di realizzazione. Una delle quali nella vicina Bielorussia, ampiamente colpita dalla nube radioattiva di Chernobyl. Il nucleare è la risposta giusta alla domanda crescente di energia del mondo intero?

Pripyat restituisce alla perfezione il significato della parola annullamento. La sua irreversibile desolazione è un ritratto limpido di ogni mondo post-atomico, senza contraddizioni né margini d’interpretazione. In questa sua terribile chiarezza, la città morta è identica a Kirov, a Dubovy Log, a Khomjenki, il villaggio di Galina Mokanu che mi ha offerto salame piccante fatto in casa con la carne dei suoi maiali radioattivi, e io non ho potuto rifiutare di assaggiarlo. In realtà non ho voluto rifiutare, per una ragione alla quale in quell’attimo ho ritenuto di dare più importanza che alla paura: gentilezza verso di lei. Verso una donna malata nel corpo e nell’anima poiché incolpevolmente ignara. I denti rovinati e il fazzoletto in testa. Che per potersi permettere il sogno di una vita decente, ha dovuto andare ad abitare dentro un giardino atomico”. (Emanuela Zuccalà)