Alle 18.51
del 28 gennaio del 1966 si verificava, nei cieli di Brema, un terribile
incidente. L’aereo su cui viaggiava la Nazionale italiana di nuoto, il loro
allenatore e il cronista della Rai Nico Sapio si schiantò al suolo. Non ci
furono superstiti. A cinquant’anni dalla Superga del nostro nuoto il
giornalista Dario Ricci ne “I ragazzi di Brema” ripercorre
i sentieri del ricordo, per recuperare volti, immagini, suoni, emozioni di
quelle ore dolenti e tragiche. Un libro che vuole essere un tributo alla
generazione perduta del nuoto italiano, e a quei ragazzi che videro i loro
sogni, le loro speranze, le loro vite inghiottite dal cielo di Brema. L’autore, nel breve testo che
proponiamo, racconta del suo primo incontro con la vicenda e di una battaglia
di civiltà e memoria.
La tragedia di Brema arrivò ai miei occhi attraverso le pagine de La
Gazzetta dello Sport e gli articoli di Aronne Anghileri. No, non quelle
pagine e quegli articoli che Anghileri aveva scritto nelle ore immediatamente
successive l’incidente, col cuore pieno di dolore, ma con consueta perizia e
professionalità. Altre pagine e altri articoli avevano attirato la mia
attenzione di giornalista che si stava preparando a seguire per la propria
testata, Radio24-IlSole24Ore, i Campionati Mondiali di Nuoto di Roma del
2009. Erano le pagine e i trafiletti che con costanza Anghileri riusciva ancora
a strappare alla cronaca di gare, cronometri, risultati, per portare avanti una
piccola grande battaglia di civiltà: ricostruire, proprio lì davanti alla
piscina del Foro Italico, quella stele di cristallo dedicata alle
vittime di Brema, che ignoti vandali avevano mandato in frantumi e che mai era
stata ripristinata. La determinazione con cui Anghileri stava perseguendo
questo obiettivo mi lasciò ammirato, tanto che lo contattai per invitarlo come
ospite di A bordocampo, la trasmissione di Radio24 che a quel
tempo curavo. Aronne acconsentì con entusiasmo e insieme realizzammo allora un
breve documentario radiofonico, raccontando quanto avvenuto a Brema,
recuperando audio e video dell’epoca. Anche quelle parole, con un peso
specifico infinitamente minore delle tante che Aronne quotidianamente spendeva
per perorare la sua giusta causa, si unirono al piccolo movimento d’opinione
che s’era creato per restaurare e riposizionare la stele. Fatto che
puntualmente avvenne alla vigilia di quei Mondiali. Anche nel non abbandonare
quella quotidiana lotta con burocrazia e incuria, Anghileri s’era dimostrato
grande giornalista, se è vero che è proprio del giornalismo porre questioni,
individuare responsabilità, proporre soluzioni. Ma all’Anghileri zelante
professionista s’era mescolato in quella piccola grande battaglia di civiltà
anche l’Aronne uomo, colui che – come abbiamo ripercorso in queste pagine – con
quei ragazzi aveva parlato e scherzato fino all’ultimo istante, con la bonomia
indagatrice del cronista di razza, ma anche col sincero affetto di chi vedeva
in quegli occhi, in quelle bracciate, il sereno dipanarsi di parabole umane
proiettate verso il futuro.
Oggi, a cinquant’anni di distanza dalla
tragedia di Brema, quella stele, queste parole, quei volti che ritornano sorridenti
dal passato, lanciano un monito che al tempo stesso è una preghiera: non
dimenticate, non dimenticateci.