06/12/2016.
Ci fanno compagnia nella XMas Poetry week i versi di Gianluca
Paciucci.
Una
sezione centrale di “Rictus delle verità
sociali” si intitola ‘Le verità sociali’, ed è composta da quartine di
endecasillabi a rima alternata: quartine che reggono ma che poi, a metà, cedono
e si sfrangiano in versi fragili, in piccoli testi di pochi versi liberi. In
una quartina emerge il tema del padre e del figlio:
34.
Rettifico
il silenzio di mio padre
con
comici sermoni in cima a croci:
m'ascoltano
giù in basso atroci squadre
di
guitti paranoidi e preti e proci
È uno scontro a due, con
spettatori e complici attorno: il padre tace (ma quando mai?, eppure accade che
la sua voce tonante di Pantocratore sia attraversata da afasie); il figlio lo
corregge, ma dalla croce, e comicamente arringa una folla di manipoli di
guitti, di preti e, nuovamente, di proci. Sembrano, i proci e forse anche tutti
gli altri, desiderosi di salire su quel legno, di sostituire il Cristo
parlante: questo pretendono. La croce
ci parla, ieri come oggi: Affan Ramić coi tizzoni ardenti estratti dalle case in fiamme di Sarajevo
costruiva croci. Ci parla –mi parla, forse, dovrei dire- il circo della croce: così si intitola uno
degli ultimi testi che ho scritto, in questo 2016 che s’avvia a finire. Questo
il primo movimento:
1)
croci
d’occhi
croci
d’orchi
croci
d’orchi su occhi in un circo
croci
nel petto
d’orchi
sfavilli
di
croci d’oro piantate
nei
petti vangati
piantati
negli occhi
schidioni
a mucchi
d’occhi
sacchi
marmitte
di bollori
d’occhi
e vesciche
croci
di droni
croci
di tempie irradiate
puzza
di tempie impalate
croci
di puzza di monitor
croci
di puzza di droni
croci
di puzza blindata (…)
L’anafora permette di
accostare immagini per suono e per evocazioni, come a Jacopone nei primi passi
(ma già da gigante) della poesia in Italia. Puzzano
le viscere torbide del passato, ma ancora di più quelle asettiche del
presente (monitor e droni, puzza di schermi di computer la cui leggerezza è
anche furia –false, falsificate le previsioni di grandi degli anni Ottanta, il
Calvino delle “Lezioni americane” su tutti). Puzzano le croci d’Aleppo, croci
di pini: che interrogano tutti, tutti i versi marrani di questa storia. Forse dicono che basta, basta così: dopo
secoli di nascondimenti (ufficialmente dal 1492) il verso dovrà tornare a
splendere senza paura, per ripristinare quel che c’era stato, prima dei tempi
della carenza (i grandiosi versi di Hölderlin di “Pane e vino”). Stanno per finire? Questo ci dice
l’intollerabile massacro di Aleppo, di Mosul? Mettere fine ai tempi della
carenza significherebbe smetterla di illudersi e di illudere, e prepararsi al
parto di un’epoca nuova. Ma
50.
Assistono
al parto équipe
d'odradek
Sono versi desolanti o di
piena gioia (è una quartina implosa): l’odradek di Kafka potrebbe essere
finalmente la figura che ci attende. Non sappiamo chi o cosa sia, ma potrebbe
essere lui (lei?) a riconoscerci, adescandoci. A questo vogliono portare i
versi che ho scritto negli ultimi tempi, da “Erose forze d’eros” (Infinito
edizioni, 2010) ai balbettii di quest’anno. Qualcosa dovrà pure accadere,
evocato dalla massa folle dei versi di poete e poeti degli ultimi secoli: massa
di versi come levatrice, quantità che fa pressione e stringe d’assedio il
gravido presente.