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domenica 31 dicembre 2017

Buon Anno!

La celebrazione del Capodanno è la più antica festa di cui vi sia traccia. Le prime testimonianze risalgono ai Babilonesi circa 4000 anni fa. In Europa, i Celti celebravano il Capodanno tra il 31 ottobre e il 1 novembre, l’odierna Halloween, seguendo un calendario agricolo e pastorale legato al ciclo delle stagioni. I Romani cominciarono a festeggiare il primo giorno dell’anno in marzo, dunque in corrispondenza dell’arrivo della primavera. Nel 46 a.C. Giulio Cesare decise di adottare quello che ancora oggi conosciamo come calendario Giuliano, fissando il Capodanno in sincronia con il sole.

E ora aspettiamo il fatidico conto alla rovescia per festeggiare l’arrivo del nuovo anno nel migliore dei modi. 

martedì 26 dicembre 2017

13 anni dopo lo tsunami

Le feste di Natale del 2004 furono devastate da un disastroso tsunami che colpì una zona amplissima dell’Oceano Indiano. L’isola di Sumatra, la più vicina all’epicentro del maremoto, subì i danni peggiori.

Ecco un breve estratto del nostro SISA TSUNAMI
 di Sergio Cecchini, una testimonianza in presa diretta dei fatti di allora.
“Sisa tsunami” è la scritta, fatta con uno spray argentato, che decorava la fiancata sinistra di una vecchia Honda rosso bordeaux. La macchina era seriamente ammaccata: mancavano i due specchietti laterali e un tergicristallo, un fanale era rotto. Quando si è accostata al centro per la prevenzione del tetano di Medici senza Frontiere (Msf) in uno dei quartieri di Banda Aceh più devastati dallo tsunami, ho domandato al conducente che cosa volesse dire quella scritta. ‘Sisa’ in indonesiano significa Superstite, Sopravvissuto, Rottame. Anche lei, questa quattro porte sgangherata, era scampata alla catastrofe, portandone ben evidenti i segni. Hamid, il conducente della Honda, ha voluto “ritoccare” in questo modo la fiancata del suo rottame ambulante per ricordarsi, in ogni momento, che lui è un sopravvissuto, un miracolato: “Sisa” anche lui come la sua carretta. È arrivato alla tenda allestita da Msf perché aveva sentito dire in giro che lì venivano vaccinate le persone contro il tetano e si distribuivano guanti e stivali per chi si era ferito. A più di due settimane dal 26 dicembre, Hamid ancora scavava lì dove una volta sorgeva la sua casa.
Non lontano dalla Honda, dà triste spettacolo di sé un’altra automobile, meno fortunata di quella guidata da Hamid. Giace capovolta e accartocciata in una pozza d’acqua torbida e fetida, poco distante da un militare indonesiano impegnato a inviare un sms e da un gruppo di cadaveri avvolti in sacchi di plastica gialla. Proprio in quel momento due persone si stanno dando da fare per smontare il semiasse e quelle poche cose rimaste utilizzabili.

domenica 24 dicembre 2017

Buon Natale!

Il Natale è una festa amata da grandi e piccini, vediamo la sua storia e le tradizioni che la accompagnano. Nella tradizione popolare il Natale era legato alla chiusura di un ciclo stagionale e all’apertura di uno nuovo.
Il Natale è proprio del cristianesimo ed è il giorno in cui si ricorda la nascita di Gesù Cristo, che nella cristianità occidentale cade il 25 dicembre, mentre nella cristianità orientale viene celebrato il 6 gennaio. Va detto però che il Natale non venne introdotto subito come festa cristiana, ma si dovette aspettare l'arrivo del IV d.c. secolo nell'Impero Romano d’Occidente e i secoli successivi in quello d’Oriente.
La festa cristiana si intreccia con la tradizione popolare. Prima del Natale c'era la festa del Fuoco e del Sole, perché in questo periodo dell’anno cade il solstizio d'inverno, il giorno più corto dell'anno. Nell'antica Roma si festeggiavano i Saturnali in onore di Saturno, dio dell'agricoltura ed era un periodo di pace, si scambiavano i doni, e si facevano sontuosi banchetti. Nel 274 d.C. l'imperatore Aureliano decise che il 25 dicembre si dovesse festeggiare il Sole. È da qui che risale la tradizione del ceppo natalizio, ceppo che nelle case doveva bruciare per 12 giorni consecutivi e doveva essere preferibilmente di quercia, un legno propiziatorio. Il ceppo natalizio nei nostri giorni si è trasformato nelle luci e nelle candele che addobbano case, alberi, e strade. Il Natale come lo conosciamo ora deriva da tradizioni borghesi del secolo scorso, con simboli e usanze sia di origine pagana che cristiana. Il Natale è anticipato dalla vigilia, che dovrebbe essere una giornata di digiuno e di veglia in cui ci si prepara alle ricche giornate festive. La vigilia di Natale è un giorno molto atteso dai più piccoli, perché rappresenta l’arrivo di Babbo Natale a bordo della sua slitta trainata dalle magiche renne, carica di regali.

E allora
Jingle bells, jingle bells,
Jingle all the way!
O what fun it is to ride
In a one-horse open sleigh….. 

venerdì 22 dicembre 2017

A fine anno la chiusura del Tpi

Dopo 24 anni di lavori il prossimo 31 dicembre chiuderà il Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia, istituito dalle Nazioni Unite, nel pieno del conflitto balcanico, per processare quanti si sono macchiati di incredibili crimini. In questi anni dopo aver ascoltato più di 5.000 testimoni il Tribunale ha emesso 103 condanne, di cui 78 a pene gravi, cinque ergastoli e 19 assoluzioni. Lungaggini burocratiche, scarsa collaborazione con alcuni Stati, il nostro scrittore Luca Leone è stato intervistato da Enrico Bianda per la Rete Due della RSI per un bilancio di questi anni. Per ascoltare l'intervista andate a questo link.

giovedì 14 dicembre 2017

14 dicembre 1995, firmati a Parigi gli Accordi di Dayton

Il 14 dicembre 1995, a Parigi, venivano firmati gli Accordi di Dayton, formalizzati nell’Ohio (Usa) neanche un mese prima.
Gli Accordi mettevano fine formalmente (nella realtà, ad esempio, l’assedio di Sarajevo sarebbe durato fino al febbraio dell’anno dopo, giungendo al record assoluto di 1.445 giorni) al conflitto bosniaco-erzegovese del 1992-1995, lasciando un Paese devastato e rimandato strutturalmente indietro nel tempo di mezzo secolo, oltre a circa 104.000 morti sul terreno.
I numeri di quella guerra fanno paura e sarà bene ricordarne qualcuno, anche a beneficio dei tanti negazionisti e dei troppi nazionalisti ancora oggi intenti a disseminare odio e a girare il coltello nella piaga di un dopoguerra particolarmente doloroso e instabile. Oltre alle vittime, di cui sopra (il 68% circa delle quali appartenenti al gruppo musulmano-bosniaco, il 26% circa a quello serbo-bosniaco, poco più del 5% a quello croato-bosniaco, più un migliaio di “altri” a chiudere le statistiche dell’orrore), relativo alle vittime accertate di quella guerra, vanno senz’altro ricordati i 2,2 milioni circa di sfollati, gli 1,5 milioni di profughi che ancora oggi costituiscono in gran parte la diaspora bosniaca all’estero, i circa 16.000 desaparecidos e alcuni degli episodi più spaventosi, come i 10.701 morti del genocidio di Srebrenica, il ritorno dei campi di sterminio in Europa (ad esempio Omarska nei pressi di Prijedor), la pulizia etnica integrale di Višegrad e molti altri ancora.

Oggi, ventidue anni dopo, ancora molti idioti continuano a soffiare sulle braci ancora calde per far piombare di nuovo la Bosnia Erzegovina nell’incubo. Alle persone di buona volontà il compito di raccogliere e tramandare memoria per fare sì che non si ripeta di nuovo.

mercoledì 13 dicembre 2017

Christiana Ruggeri Miglior Scrittrice del 2017 per #PuntoLettura

La seconda edizione del Premio Letterario promosso dalla seguitissima pagina Twitter #PuntoLettura ha proclamato la nostra Christiana Ruggeri “Miglior Scrittrice del 2017” grazie al libro I dannati. Reportage dal carcere venezuelano più pericoloso del mondo.

I dannati è un coraggioso reportage sul Venezuela, Paese ormai completamente allo sbando, con centinaia di migliaia di bambini che soffrono la fame e in cui chi si trova in carcere, diventa invisibile. Ma è proprio dal carcere di San Juan de Los Morros, una struttura gestita dai narcotrafficanti, dove le guardie bolivariane non entrano, che si leva il grido disperato di Rico, un piccolo spacciatore, che raccoglie di nascosto le storie dei suoi compagni di vita, per dare un senso ai suoi giorni. Malato e stanco, prima di morire affida il suo reportage dalla fine del mondo, alla goccia bianca, la suora-maestra del PGV (Penitenciaría General de Venezuela).
“La situazione all’interno degli istituti di pena (e anche nei centri di detenzione pre-processuale) in Venezuela è tragica. Il racconto di Riccardo, riportato in questo libro, lascia senza fiato. E Christiana Ruggeri è straordinariamente brava nel renderlo testimonianza drammatica, incalzante, nello scriverne come se avesse visto coi suoi occhi”. (Riccardo Noury)

“La Penitenciaría non è uno strumento di contrasto alla criminalità, ne è semmai la roccaforte. L’inferno di violenza e di ferocia che il libro descrive non è costruito per ridurre il crimine o i reati, ma per comprimerli in uno spazio circoscritto in cui gestirli, monitorarli e, quando è possibile, valorizzarli, ovvero estrarne valore economico attraverso una gestione corrotta del carcere. In questo modo non si contrasta né si riduce la criminalità, ma si prova a relegarla in uno spazio, materiale e simbolico, diverso dal nostro. E questo, che piaccia o meno, accade in ogni Paese al mondo”. (Alessio Scandurra)

lunedì 11 dicembre 2017

11 dicembre, Giornata internazionale della Montagna

Oggi le Nazioni Unite focalizzano l’attenzione del mondo sulla montagna, dedicandole una Giornata internazionale. L’occasione è utile per ricordare che molte delle nostre risorse derivano dalla montagna: acqua fresca e potabile - precisamente il 60% delle acque dolci mondiali pur ricoprendo solo il 12% della superficie terrestre - grande quantità di piante e animali. Inoltre una persona su dieci abita in zone di montagna.
Tutte queste risorse vengono ogni anno danneggiate a causa di inquinamento, disboscamento, cambiamenti climatici, incendi, incremento demografico e sfruttamento smodato di materie prime. Anche i conflitti armati giocano un ruolo importante del danneggiare e distruggere i boschi.

Negli ultimi anni la consapevolezza globale dell’importanza della montagna ha avuto i suoi frutti: in più di 78 Paesi sono stati fondati comitati per promuovere lo sviluppo sostenibile nelle regioni montane e sono stati promossi molti progetti per la preservazione delle risorse e degli habitat delle montagne. Grazie alla Fao, che lancia allarmi sulla situazione generale delle zone montane, si spera in una maggiore sensibilizzazione politica sull’argomento.

Il 26 giugno del 2009, le Dolomiti sono state proclamate dall’Unesco patrimonio nazionale dell’Umanità: sono al secondo posto in Italia, dopo le isole Eolie, e rientrano tra i 175 capolavori naturali riconosciuti al mondo.

Festeggiamo questa data segnalando

domenica 10 dicembre 2017

10 dicembre, Giornata Internazionale dei Diritti Umani

“Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”, queste sono le prime righe della Dichiarazione universale dei Diritti Umani, approvata il 10 dicembre 1948. Proprio partendo da questa data l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite festeggia il 10 dicembre la Giornata Internazionale dei Diritti Umani.
Dal 1950 tutti gli Stati membri sono invitati alla celebrazione di questa giornata nei modi a loro più consoni. L’esempio più importante è quello della città di Oslo, che consegna in questa occasione il Premio Nobel per la Pace. Quest’anno il Premio è stato assegnato a Juan Manuel Santos, presidente della Colombia, per l’impegno profuso nella pacificazione del Paese, sconvolto da oltre cinquanta anni di guerre interne.

“Nel 2016 – dichiara Salil Shetty, Segretario generale di Amnesty International nel Rapporto 2016-2017. La situazione dei Diritti Umani nel mondo – il concetto di dignità umana e uguaglianza, che contraddistingue la famiglia umana, è stato attaccato con forza e senza sosta da una potente narrazione dei fatti intrisa di colpa, paura e ricerca di capri espiatori, diffusa da coloro che cercano di arrivare o di restare ancorati al potere, quasi ad ogni costo”.
Vogliamo rendere manifesto il nostro impegno a favore dei diritti umani consigliando la lettura del prezioso volume di Amnesty International, che proponiamo per oggi a € 9,90 anziché € 19,90, perché la conoscenza è la migliore arma contro i pregiudizi.

sabato 9 dicembre 2017

9 dicembre, Giornata Internazionale per la Commemorazione e la Dignità delle vittime di Genocidio e della prevenzione di questo crimine

“Il Genocidio rappresenta la cosa peggiore dell’umanità. Ricordare gli eventi del passato e rendere omaggio a coloro che sono morti dovrebbe rafforzare la nostra determinazione a impedire che tali eventi si ripetano” queste sono le parole di Adama Dieng Consigliere speciale delle Nazioni Unite sulla prevenzione del genocidio.
Nel 2015 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha istituito il 9 dicembre come Giornata Internazionale per la Commemorazione e la dignità delle vittime di genocidio e della prevenzione di questo crimine, facendo cadere la ricorrenza nell’anniversario dell’adozione della Convenzione sulla Prevenzione e Condanna del Crimine di Genocidio in vigore dal 1948.
Lo scopo della giornata è quello di aumentare la consapevolezza sulla Convenzione sul genocidio e sul suo compito di combattere e prevenire il crimine di genocidio, come definito nella Convenzione, e di commemorare e onorare le sue vittime. Con l’adozione della risoluzione, senza votazione, l’Assemblea dei 193 membri, ha ribadito la responsabilità di ogni singolo Stato di proteggere la sua popolazione dal genocidio che implica la prevenzione del reato e l’istigazione ad esso. 

Tra i tanti genocidi che si sono compiuti solo nel Novecento ricordiamo quello più veloce della storia, avvenuto in Rwanda nell’aprile del 1994, raccontato con intensità e passione da Françoise Kankindi e Daniele Scaglione in RWANDA. LA CATTIVA MEMORIA e il genocidio di Srebrenica, a due passi da casa nostra, testimoniato magistralmente da Luca Leone in SREBRENICA. I GIORNI DELLA VERGOGNA da cui abbiamo ripreso un piccolo estratto.


“Nelle 30 ore successive al momento in cui le telecamere di Mladić si spengono vengono deportati circa 23.000 donne e bambini: il via vai di autobus e camion è impressionante. Gli olandesi, rimasti a piedi, accettano tutte le richieste dei serbi e arrivano persino a pagare per avere del carburante, lo stesso che, probabilmente, i serbo-bosniaci hanno rubato negli ultimi mesi dai convogli dell’Onu con i rifornimenti che non sono mai arrivati a Srebrenica, a causa del blocco ordinato dallo stato maggiore di Pale. Durante quelle ore, gli olandesi possono notare che a bordo degli autobus non vi sono uomini, solo donne e bambini piccoli. Lo annotano nelle loro teste, ma nessuno fa nulla. Gli aguzzini possono agire indisturbati. Così, già nei dintorni di Potočari può compiersi una parte del genocidio degli abitanti di Srebrenica. Nello stesso momento, mentre centinaia di uomini, bambini e anziani vengono assassinati dai serbo-bosniaci sul posto; mentre in migliaia sono deportati altrove per essere uccisi; e mentre donne e bimbi piccoli vanno incontro a un destino ignoto, nei boschi e tra le montagne si compie un’altra parte importante del lavoro sporco: l’artiglieria e i cecchini serbi, entrati in azione già alle prime luci dell’alba contro i circa 15.000 che avevano lasciato Srebrenica, cercando di raggiungere a piedi un territorio meno ostile, martellano senza sosta i fuggiaschi affamati e stanchi.”

martedì 28 novembre 2017

#Chapecoense un anno dopo

Il 28 novembre 2016, mentre si avvicinava all’aeroporto José Maria Cordoba di Medellín, in Colombia, il volo 2933, un quadrimotore della compagnia boliviana LaMia, precipitava al suolo. A bordo, 77 persone. Di quei passeggeri, 21 erano giornalisti e 48 erano membri del club calcistico brasiliano Chapecoense, che volava verso la finale della Coppa Sudamericana contro il Nacional, la partita più importante della sua storia. Solo sei i superstiti: tre calciatori, due membri dell’equipaggio e un reporter. Un evento molto simile alla tragedia di Superga del 4 maggio 1949, nella quale perì l’intera squadra del Grande Torino. Dei granata è stato scritto tutto. Della Chapecoense poco o nulla. Il giornalista Lucio Rizzica in Proprio come una cometa. Storia della Chapecoense e della Superga d’America prova a rendere giustizia a chi ha fatto negli anni la storia della Chapecoense, un esempio di lungimiranza, di gruppo, di tenacia. Il tecnico Caio Junior, nella sua ultima intervista prima di partire, aveva detto: “Se morissi oggi, morirei felice”. A giudicare dai selfie scattati a bordo poco prima del disastro, tutti avevano in volto il sorriso di chi, al di là di qualunque destino, sa già che sarà per sempre un vincitore…

Questo libro è un autentico atto d’amore, oltre che una bella pagina di giornalismo. Lucio Rizzica, che ricorda anche gli eroi del Grande Torino, scomparsi nella tragedia della Basilica di Superga il 4 maggio 1949, ha scritto della Chapecoense intingendo l’inchiostro nella memoria, nella ferita e nel domani. Perché l’avventura, con una cicatrice perenne nelle vene, continua. Anche, e soprattutto, per chi se ne è andato in una notte di fine novembre. Per sempre avvolto dal mito”. (Darwin Pastorin)

I ragazzi della Chapecoense caduti sono, per noi del Toro, quelli del Grande Torino. Per questo ancor più grande commozione mi ha preso nel sapere che uno dei calciatori scomparsi sarebbe presto diventato padre. La storia del bimbo in arrivo e la mia, unite dal medesimo, incredibile destino”. (Franco Ossola)

“Le pagine di Rizzica sono una guida sicura alla scoperta del pianeta Chape, dei suoi protagonisti, delle loro storie, di questo piccolo pezzo di calcio brasiliano che contiene in sé ogni storia, ogni realtà, la più tragica delle oscure fantasie. Altre pagine e altre parole, invece, quelle proprie di inquirenti e giudici, dovranno consegnarci prima o poi una verità, che non potrà cancellare le lacrime, ma almeno dare loro un senso. (Dario Ricci)


L’autore presenta il libro giovedì 30 novembre a ROMA, presso la libreria Mondadori, via Piave 18, alle 18,00. Dialogano con l’autore Filippo Golia e Luca Marchegiani.

venerdì 24 novembre 2017

25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne

Nel 1999 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha indicato il 25 novembre come giorno per celebrare la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.
Questa data fu scelta da un gruppo di donne attiviste, riunitesi a Bogotà nel 1981 durante l’Incontro femminista Latinoamericano e dei Carabi, per ricordare l’uccisione delle sorelle Mirabal, avvenuta il 25 novembre del 1960.

Quel giorno, Patria, Minerva e María Teresa Mirabal andarono a fare visita ai mariti, rinchiusi nel carcere di Puerto Plata poiché si erano ribellati contro il regime dominicano, capeggiato da Rafael Leónidas Trujillo, dittatore che governò con il pugno di ferro la Repubblica Dominicana per oltre trent’anni.

L'auto delle tre sorelle venne intercettata e le donne vennero fatte scendere e condotte in un luogo nascosto nelle vicinanze, dove furono torturate, massacrate a colpi di bastone e strangolate, per poi essere gettate in un precipizio, a bordo della loro auto, per simulare un incidente.

Dal 2005 anche in Italia associazioni come la Casa delle donne e molte altre aderiscono alla commemorazione di questa giornata e, negli ultimi anni, istituzioni internazionali ed enti importanti, come Amnesty International fanno sentire il loro “no” alla violenza contro le donne con centinaia di iniziative.

Secondo Un Women, l’agenzia Onu che si dedica al tema dei diritti femminili, circa la metà degli omicidi di donne in ogni parte del mondo è perpetrata dal partner o da un parente. I macro-dati sono spaventosi: circa 120 milioni di bambine nel mondo sono state costrette a un rapporto sessuale o a un atto di natura sessuale; 200 milioni di donne e bambine hanno subìto una mutilazione genitale. In Europa 62 milioni di donne sono vittime di maltrattamenti, in America una donna ogni 15 secondi viene aggredita (spesso dal coniuge), in Italia 6.743.000 donne hanno subìto abusi: sono alcuni dei dati globali che spingono associazioni, personaggi pubblici, artisti e stilisti a impegnarsi sul tema della violenza. La violenza è annidata in luoghi inimmaginabili, è trasversale: colpisce bambine, donne fragili, ma anche donne istruite e potenti. Secondo un’inchiesta del 2016, più di una donna su quattro di Washington è stata molestata sui mezzi pubblici della città; in un’altra ricerca, svolta in 27 atenei degli Stati Uniti, è emerso che il 23% delle studentesse del primo anno hanno subito un’aggressione sessuale; l’82% delle donne parlamentari che hanno partecipato a uno studio dell’Unione interparlamentare in 39 Paesi nel mondo hanno ammesso di aver subìto una qualche forma di violenza psicologica nel corso del loro mandato.

Consigli di lettura:

I labirinti del male, di Luciano Garofano e Rossella Diaz
Donne che vorresti conoscere, di Emanuela Zuccalà
Non succederà mai più, di Rossella Diaz

Mi chiamo Beba, di Palma Lavecchia

mercoledì 22 novembre 2017

Ratko Mladić condannato all’ergastolo in primo grado

L’ex capo di stato maggiore dell’autoproclamata Repubblica serba di Bosnia, il già generale Ratko Mladić, è stato condannato dal Tribunale penale internazionale per i crimini di guerra nella ex Jugoslavia (Tpi) de L’Aja all’ergastolo, come richiesto dalla Procura generale. Mladić è stato condannato per il genocidio di Srebrenica, per crimini contro l’umanità e per la violazione delle leggi di guerra in materia di trattamento dei prigionieri, il tutto in riferimento a molteplici fatti di sangue avvenuti durante la guerra di Bosnia Erzegovina, tra il 1992 e il 1995.
Mladić e il suo avvocato questa mattina in aula prima della sentenza si sono lasciati andare a comportamenti ostruzionistici; per questa ragione l’ex generale è stato fatto allontanare in un’altra aula, dove ha potuto ascoltare la sentenza.
La condanna ai danni di Mladić, pur segnando una pagina storica del conflitto bosniaco-erzegovese, non è ancora definitiva e certamente la vicenda giudiziaria del cosiddetto “boia di Srebrenica” si arricchirà di altre pagine, fino alla sentenza di secondo grado.
Mladić è stato condannato in particolare per genocidio, persecuzione, sterminio, omicidio e atti inumani per lo spostamento forzato di civili nell’area di Srebrenica nel luglio del 1995; per persecuzione, sterminio, omicidio, deportazione e atti disumani perpetrati in diverse municipalità della Bosnia Erzegovina; per omicidio, terrore e attacchi illegali contro i civili durante l’assedio di Sarajevo; per la presa in ostaggio di personale delle Nazioni Unite. Allo stesso tempo, è stato assolto dall’accusa di aver perpetrato genocidio in altre aree della Bosnia Erzegovina, diverse da Srebrenica, nel 1992.
Le parole pronunciate contro Mladić durante la lettura della sentenza da parte del presidente della giuria, Alphons Orie, sono state pesanti come macigni, ma di certo non sposteranno di un millimetro le posizioni dei negazionisti e di coloro che ritengono da sempre un personaggio come l’ex generale, macchiatosi degli abomini sopra elencati, un “eroe”.
Mladić era stato rinviato a giudizio già nel luglio del 1995, in contumacia, ma il processo ai suoi danni è potuto cominciare solo il 16 maggio 2012, dopo una lunghissima latitanza dorata, favorita da organi sia dello Stato serbo che dell’entità della Repubblica serba di Bosnia. I giudici hanno tenuto 530 giorni di udienza, hanno sentito 592 testimoni e consultato oltre diecimila documenti ammessi in giudizio. Tra il 5 e il 15 dicembre 2016 sono stati esposti gli argomenti finali da parte di accusa e difesa e da allora si è attesa la sentenza di primo grado. Che considerare un atto dovuto è il minimo.

Incluso Mladić sono 161 gli accusati di crimini di guerra processati dal Tribunale de L’Aja. Al momento, compreso quello contro Mladić, solo sei di questi procedimenti sono in corso, mentre gli altri 155 si sono conclusi.

mercoledì 8 novembre 2017

La Bosnia, il fantasma di Churkin e il negazionismo serbo su Srebrenica

Lo scorso 5 novembre un’associazione di “patrioti” serbo-bosniaci, in collaborazione con l’ambasciata russa in Bosnia Erzegovina e il comune di Sarajevo Est, ha inaugurato una grossa targa nera in memoria dell’ex rappresentante diplomatico russo presso le Nazioni Unite Vitaly Churkin, l’uomo che nel 2015 s’è opposto all’approvazione da parte del Consiglio di sicurezza dell’Onu di una risoluzione che, vent’anni dopo, riconosceva il genocidio di Srebrenica. Risoluzione che il rappresentante dei “patrioti” serbo-bosniaci ha definito “vergognosa e perfida”, sorvolando sui 10.701 morti del genocidio e su tutto il resto.

Sarajevo Est è così riuscita laddove finora hanno fallito gli ultranazionalisti serbo-bosniaci di Srebrenica negli ultimi due anni. Tace l’Alto rappresentante della comunità internazionale in Bosnia, ma si tratta dell’ennesima pugnalata alle spalle della pace e della stabilità nel Paese balcanico, che tira in ballo inevitabilmente anche la pace e la stabilità in tutto il continente. Una volta di più – ma su questo ormai non possono più esserci dubbi – con il pieno sostegno di Mosca, in questo inquietante secondo tempo della guerra fredda.

Buon compleanno Infinito edizioni!

Infinito edizioni festeggia il tredicesimo compleanno con un’offerta imperdibile: solo fino a domenica 12 novembre le spese di spedizione, per un ordine fino a 2 kg, saranno di € 0.99 invece che € 3.99 e in più, per ogni acquisto, un prezioso libro del nostro catalogo in omaggio.

Non perdete l'opportunità di festeggiare con noi!!

venerdì 3 novembre 2017

5 novembre 2011, il monumento in memoria dei volontari russi caduti a Višegrad

Višegrad, Valle della Drina, Bosnia orientale: qui dal 19 maggio 1992 comandano i cugini Milan e Sredoje Lukić, sanguinari paramilitari serbo-bosniaci che, con le loro Aquile bianche, un gruppo di assassini ancora oggi in larga parte impuniti, impongono alla cittadina e ai villaggi nei dintorni un regime del terrore e dell’orrore.
I due cugini si rendono protagonisti di una serie di episodi tremendi e con operazioni di rastrellamento, deportazioni e omicidi di massa di decine di civili all’interno di case private compiono una completa pulizia etnica ai danni dei musulmani-bosniaci – che costituivano il 63 per cento della popolazione locale. Circa tremila persone vengono uccise e fatte scomparire.
Quanto accadde a Višegrad può essere considerato la prova generale delle atrocità commesse in seguito a Srebrenica, con la differenza che su quanto qui avvenuto è scesa una profonda coltre di colpevole silenzio. Il giornalista Luca Leone analizza le vicende belliche e post conflitto in Višegrad. L’odio, la morte, l’oblio, soffermandosi nel ricordare come il 5 novembre del 2011 l’amministrazione comunale di Višegrad abbia autorizzato la posa, nel locale cimitero ortodosso, di un monumento in memoria dei volontari russi caduti al fianco dei “fratelli serbi”. La dedica della lapide così recita: “In ricordo dei fratelli ortodossi dell’unità dei volontari russi per la Re­pubblica serba nella guerra per difendere la patria – 1992-1995 – Onori a loro e che Dio salvi le loro anime”.
Non pochi parami­litari russi hanno in effetti supportato l’esercito della Rs e i vari corpi di assassini serbo-bosniaci, come i Vendicatori e le Aquile bianche. Forse rin­graziarli era un dovere, per la municipalità ultranazionalista di Višegrad. Ricordare che si trattava non di eroi ma di assassini efferati e di razziatori è non meno doveroso.

Segnaliamo inoltre che l’autore sarà ospite domani 4 novembre della trasmissione del Tg 2 Storie, in onda su Rai Due alle 23,30 circa.


 “Venticinque anni di silenzi complici, di rimozione, di inganni e tradimenti. Di quel negazionismo spicciolo che si nutre di ‘letteratura’ cospirazionista e che, per mera affiliazione ideologica, ci spiega ogni tanto con un post tradotto o scritto pure male, che è tutto falso”. (Riccardo Noury)

martedì 24 ottobre 2017

Caporetto e la rivoluzione dello sport italiano

Cento anni fa, il 24 ottobre del 1917, si combatteva la battaglia di Caporetto, la più nota tra gli scontri della Grande Guerra per il suo esito disastroso. Abbiamo chiesto al nostro autore Dario Ricci, che insieme all’alpinista Daniele Nardi ha saputo unire la storia del primo conflitto mondiale ai campioni dello sport che vi sono stati coinvolti nel testo “La migliore gioventù”, un approfondimento su quanto accaduto allora e sulle conseguenze nel rapporto tra sport e storia.
Se solo la più recente storiografia ha messo realmente a fuoco, non solo il significato, ma le stesse effettive dinamiche della ‘ritirata di Caporetto’, ancor più a noi vicini sono gli studi che evidenziano il ruolo-chiave che quest’evento ebbe nel modificare abitudini, stili di vita, approccio di ampi strati della società italiana all’attività sportiva. Una disfatta, almeno nella percezione di allora, dal punto di vista strategico-militare, ma anche una fondamentale presa di consapevolezza identitaria collettiva e una rivoluzione sotto il profilo sportivo. Questa fu Caporetto per l’Italia di un secolo fa. La disfatta, il nemico sul territorio, la sensazione della devastante sconfitta che incombeva, modificarono mentalità, comportamenti, attitudini. E anche la percezione del ruolo dello sport, della formazione fisica, della sua importanza nella società e in trincea.
Mai sapremo se senza il contropiede austro-teutonico-ungarico della ‘12ma battaglia dell’Isonzo’, nota come battaglia di Caporetto, saremmo diventati noi, e non l’Olanda, l’Arancia Meccanica fautrice del calcio spettacolare e offensivo negli Anni Settanta. Quel che è certo, è che il malrovescio militare subìto, diede anche l’idea dell’impreparazione fisica del Paese, e del suo esercito, allo sforzo bellico. “Ad essere messa in discussione – ricorda Sergio Giuntini nel suo Lo sport e la Grande Guerra – fu, innanzitutto, l’egemonia ginnastica”. Così, continua lo storico dello sport, “in seno all’Esercito s’iniziarono ad associare all’antica ginnastica metodica gli sport di squadra, il podismo, l’atletica leggera e quelle discipline che, dalle olimpiadi decoubertiane, avevano ricevuto la massima legittimazione e popolarizzazione internazionale”. “Sarà in particolare la revisione dei metodi di training e di propaganda nelle retrovie, imposta dal disastro di Caporetto – scrive Felice Fabrizio in Storia dello Sport in Italia – a portare alla ribalta il giuoco sportivo e la competizione agonistica”. Insomma: calcio, corsa, boxe, ma anche basket e pallavolo garantivano quel surplus di agonismo, cameratismo e – perché no – divertimento e ricreazione, che la ginnastica, con la sua ricerca di perfezione estetica e la sua competizione attenuata, non poteva garantire.
Senza dimenticare che l’arrivo massiccio di forze alleate sul fronte italiano, proprio in seguito allo sfondamento del fronte a Caporetto, rese evidente il differente ‘passo sportivo’ di inglesi, francesi e americani rispetto ai nostri soldati, e favorì commistioni nella preparazione fisica e diffusione di altre discipline fino ad allora ben poco conosciute in Italia.
Basti pensare che James Naismith, ideatore della pallacanestro, cappellano militare presbiteriano nell’esercito statunitense e propagandista della Young Men’s Christian Association (YMCA), nel settembre 1917 venne invitato a Parigi, e diede vita nel gennaio 1918 a un campionato di basket con ben 21 squadre iscritte! Da lì, la palla a spicchi rotolò rapidamente nelle nostre retrovie. L’esercito americano portò con sé anche reti e palloni per la pallavolo (pur intesa come disciplina preparatoria ad altri sport), e soprattutto istruttori, preparati proprio nell’ambito dell’YMCA. E il legame degli inglesi con atletica e football era indissolubilmente radicato fin dalle “Public Schools”, le scuole della borghesia britannica in cui mai riuscì ad attecchire la ginnastica. Un amore che non poteva certo essere dimenticato in trincea, tanto che – come ormai noto – in più di un’occasione i soldati di Sua Maestà durante il conflitto si lanciarono contro gli schieramenti nemici calciando un pallone da football.

Caporetto fu, nella sua drammaticità, il catalizzatore di questo cambiamento. Fino al maggio 1917 le uniche strutture di supporto educativo e d’intrattenimento per le truppe italiane erano quel centinaio di ‘Case del Soldato’, con sale lettura e qualche sala di proiezione cinematografica, create al fronte da don Giovanni Minozzi. Il tracollo imminente dopo il 24 ottobre 1917 porta a un cambio di rotta radicale, consapevolmente attuato dal nuovo Comandante Supremo, il Generale Armando Diaz: con l’inizio del 1918 ecco nascere il ‘Servizio P.’, con la designazione per ogni Armata di un ufficiale incaricato alla Propaganda bellica. Molteplici gli obiettivi: in primis cura del vitto, degli alloggi, dell’igiene, del vestiario dei soldati; ma anche eliminarne le cause del malcontento, distribuire carta da lettere e aiutare chi non ne era capace a scrivere a casa, tenere alto il morale anche attraverso cinema e giochi, spronando all’attività fisica, al gioco e impiantando campi per la pratica sportiva. Così, dopo Caporetto, i nostri militi si scoprirono più sportivi. E anche per questo, alla fine, alla fine vincenti.

Grande Guerra e sport, gli effetti del conflitto su Nedo Nadi

Oggi il 24 ottobre si ricorda la battaglia di Caporetto, scontro che  venne combattuto durante la prima guerra mondiale tra il Regio Esercito italiano le forze austro-ungariche e tedesche.
Si tratta della più grave disfatta nella storia dell'esercito italiano, tanto che ancora oggi il termine Caporetto viene utilizzato come sinonimo di sconfitta disastrosa.
Abbiamo scelto un estratto tratto da La migliore gioventù. Vita, trincee e morte degli sportivi italiani nella Grande Guerra di Daniele Nardi  e Dario Ricci, in cui si racconta di questo episodio militare legato a un grande schermidore, Nedo Nadi, l'unico schermidore ad avere vinto una medaglia d'oro in tutte e tre le armi nel corso di una stessa Olimpiade e detentore del record di maggior numero di medaglie d'oro vinte nella scherma sempre in una stessa Olimpiade.


“A lasciare cicatrici indelebili nell’animo di Nedo, invece, è il conflitto, come spiega ancora Roma: ´Dalla guerra sanguinosa, in trincea, sul Carso, Montenero, Altipiano dei Sette Comuni, Dobernò, San Michele, Cividale, all’Isonzo, a Caporetto, assalti corpo a corpo, bombe a mano, a piedi e a cavallo, nel fango e infine in Francia si guadagnò una terza decorazione al valor militare, dove ne uscì miracolosamen­te indenne ma profondamente logorato. Il patire fisico della fame, nella miseria, sporcizia, e tutto il complesso, avevano scavato nella carne e nel cuore del reduce solchi indelebili’. Profondamente religioso, avvezzo a quella sublime finzio­ne dell’arte del vivere, uccidere o morire che è la scherma, il soldato Nadi compie fino in fondo il proprio dovere, ma quasi rimanendo schiacciato dalle irrisolte contraddizioni che la sofferenza, il dolore, i patimenti propri e altrui pon­gono alle anime più illuminate: ‘La violenza, l’abbattimen­to di un proprio simile, erano per il suo spirito, inconcepibili – scrive ancora Roma – e il rifluire di giorni e di stagioni di quegli anni di tremendi orrori, lo incupirono rendendolo più che mai pensoso e triste, con un peso di colpa e di vergogna’.

Nuovo sito per Infinito edizioni

Cari Amici,
dalle 18,00 circa del 24 ottobre 2017 potreste riscontrare problemi sia nel navigare sul nostro sito www.infinitoedizioni.it sia nel comunicare con noi via posta elettronica.
I problemi di cui sopra sono dovuti al fatto che, come preannunciato circa un mese fa, tra la fine del 24 ottobre e il 26 ottobre circa prenderà corpo la seconda delle tre grandi novità del 2017. Se la prima novità era il passaggio con la società Emme Promozione per quanto riguarda la promozione editoriale dei nostri libri, la seconda è legata al nuovo sito Web, che metteremo appunto online nei prossimi giorni. E di cui qui potete vedere una piccolissima anteprima in questa immagine. Poiché il caricamento del nuovo sito – dietro cui ci sono mesi di lavoro a fari spenti – coincide anche con il cambiamento di hosting, che coinvolge inevitabilmente anche le caselle di posta elettronica, ecco spiegato il perché delle 48 ore di “buio” internettiano che ci prepariamo a vivere.
Fino al 26 ottobre, in ogni caso, sarà disponibile per le emergenze la casella e-mail infinitoedizioni@gmail.com
Speriamo che il nuovo sito vi piaccia.
La navigazione è molto più agile, è pensato per girare sui dispositivi mobili, è molto più dinamico del vecchio e molto più divertente sia da navigare che da sviluppare. È possibile che nei primi giorni di vita del sito possano riscontrarsi dei problemi, ma con il vostro aiuto andrà in breve tutto a posto. Tra i problemi riscontrabili, c’è senz’altro il mancato caricamento di una settantina di e-book, al quale avremo modo di porre rimedio man mano nelle prime settimane di vita del nuovo sito. In ogni caso tutti gli e-book continuano a essere disponibili sulle decine di store online presso i quali sono normalmente in vendita e molto presto saranno disponibili anche le versioni e-book degli ultimissimi libri, rispetto alle quali siamo rimasti indietro.
Arrivederci a fine 2017 con l’ultima grande novità di quest’anno di grandi cambiamenti. E speriamo che il nuovo sito Web piaccia a voi tanto quanto piace a noi.
Grazie per la pazienza e per la collaborazione gentilissima che ci darete.

Infinito edizioni

lunedì 23 ottobre 2017

Intervista a Daniele Zanon sul romanzo “Nina nella Grande Guerra”, cento anni dopo #Caporetto

Nina nella Grande Guerraè un romanzo storico, in equilibrio fra storia e finzione. Quale peso hanno avuto nella narrazione i due termini, cioè l’invenzione narrativa e il rigore storico?
Nina nella Grande Guerra è romanzo storico in senso ampio. La narrazione si sviluppa attorno a fatti successi realmente, ma questi fatti vengono messi in relazione attraverso il vissuto di personaggi che sono frutto di fantasia. Storie minori e personaggi inventati servono a portare all’attenzione del lettore la verità di fatti storiograficamente importanti.
Quali sono allora questi fatti veri su cui si costruisce il plot del romanzo?
I fatti sono sostanzialmente tre.
Il primo: due giorni prima della rotta di Caporetto arrivano al comando italiano di Cividale due disertori romeni. Questi consegnano in mani italiane il piano di attacco austriaco così come si sarebbe verificato il 24 ottobre.
Il secondo: il comando di Cividale, in conseguenza a questa informazione, decide di mandare in località Foni, poco distante da Caporetto, uno dei due reggimenti che compongono la brigata Napoli, così da arginare lo sfondamento del giorno dopo. Sono cinquemila uomini. Troppo pochi, comunque. Non avrebbero avuto alcuna possibilità di fare la differenza. Ma il giorno dopo la brigata Napoli non sarà al posto designato. Tutti quei soldati se ne staranno nascosti nelle alture circostanti. Questo è ciò che succede.
Il terzo fatto è davvero piccolo e insignificante ma mi conquistò più di tutti appena ne venni a conoscenza, tanto da farne il vero cuore del romanzo. Nei giorni successivi lo sfondamento di Caporetto, dopo la sostituzione di Cadorna col generale Diaz, viene dato l’ordine di scavare una trincea bassa, 30 chilometri sotto la linea del Piave. La trincea, che seguiva la linea Treviso-Vicenza, sarebbe servita ad arginare un eventuale sfondamento dell’esercito nemico anche sulla linea del Piave. Durante lo scavo della trincea, a Galliera Veneta, viene tirato fuori un morto. Un morto sepolto. E la cosa è assolutamente incredibile.
Un morto non era cosa poi così incredibile nello scenario di quei giorni.
Un morto in guerra no di certo. Ma quel morto, fra l’altro sepolto da non molto, è saltato fuori da uno scavo fatto in mezzo a un campo, dove per caso passava la linea della trincea, in mezzo a un campo confiscato dall’esercito. Quel morto era stato sepolto lontano dal cimitero, ovviamente da qualcuno che non voleva si sapesse. Chi era quel morto? Chi l’aveva sepolto?
Appunto, chi era?
Nessuno l’ha mai saputo. E non venne fatta neppure nessuna indagine dai carabinieri di Galliera Veneta di quel tempo.
E dunque?
Dunque, pur non conoscendo la vera storia, io ho voluto rendere ragione a quel fatto e a quella vita. Ho voluto, ovviamente in maniera fantasiosa, costruire un’indagine proprio attorno a quel ritrovamento. Il primo capitolo del romanzo è proprio il ritrovamento del morto da parte dei militari che scavano la trincea.
La perfetta apertura per un giallo.
Esattamente un giallo. Appena lessi di questo fatto decisi che il mio romanzo doveva essere appunto un piccolo giallo di paese, con tutti gli ingredienti tipici del giallo: un morto, che è appunto quello tirato fuori dallo scavo, un maresciallo che indaga, un appuntato stravagante come suo collaboratore, e poi personaggi che hanno qualcosa da nascondere, persone che sanno qualcosa o forse no, qualcuno che ha visto qualcosa… insomma… gli elementi classici che devono esserci in un racconto di genere.
E come si lega questo giallo di paese con gli altri fatti? Quello dell’assenza della brigata Napoli ad esempio?
Ovviamente non posso svelare le soluzioni della storia. Ma posso dire ad esempio che, nel mio racconto, l’assenza della brigata Napoli alla stretta di Foni è da leggersi all’interno di una storia d’amore fra due dei protagonisti, un tenente e la sua fidanzata. Quasi sicuramente le cose non sono andate così, ma non è questo ciò che conta. Quello che io racconto nel mio romanzo è un pretesto per sottolineare un fatto. In questo caso il fatto è l’assenza della brigata nel punto designato. Nessuno sa il perché. Certo è che un motivo concreto deve esserci stato. Sembra logico pensare che qualcuno deve avere avvisato quei soldati che il giorno dopo ci sarebbe stato quell’enorme massacro. E sicuramente quell’informazione non è arrivata attraverso le gerarchie di comando. L’esercito funzionava in maniera rigorosa. Quando veniva dato un ordine di spostamento a un gruppo di uomini, nessuno, a nessun livello, maggiori o tenenti che fossero, sapeva la verità sulla nuova missione. All’ultimo arrivava un portaordini con l’ordine preciso. Insomma, i reggimenti venivano spostati senza possibilità per gli uomini di sapere il perché, il cosa e il quando. Questo evitava fughe di notizie in caso di cattura e soprattutto evitava che ordini non venissero rispettati, come è successo nel caso del reggimento della brigata Napoli la mattina del 24 ottobre.
Quindi, nel suo romanzo, la motivazione dell’assenza della brigata Napoli è fantasiosa?
Certo. Solo la motivazione però. Non il fatto in sé. E questo è molto importante. La pretesa che si ha scrivendo un romanzo storico è di far conoscere al lettore qualcosa di nuovo da inserire in uno scenario tutto sommato conosciuto. Nella fase di studio delle varie questioni storiografiche mi sono avvalso dell’aiuto di un amico, Valerio Curcio, grande appassionato e conoscitore attento della Grande Guerra. La domanda che gli ho fatto subito è stata questa: ci sono dei fatti senza risposta? Delle vicende andate in un modo e non si sa il perché? Una di queste questioni aperte è proprio l’assenza di un reggimento della brigata Napoli al suo posto la mattina del 24 ottobre. Scrivere un romanzo storico, rispetto a un saggio storico, dà la libertà di romanzare attorno ai fatti. Allora, se c’è un meandro buio nelle pieghe di una storia, è proprio lì che uno scrittore si può infilare con soluzioni romanzate ma che, ripeto, servono a ribadire un fatto storico importante.
E cosa mi dice dei disertori romeni?
Anche loro li ho trattati come personaggi da romanzo. Del resto… non si sa niente sul loro conto. Mi sono preso quindi la libertà di inventare il loro vissuto e le loro motivazioni. Ma non posso dire altro senza il rischio di svelare elementi importanti per chi avrà voglia di leggere il romanzo.
Il personaggio principale è Nina, una ragazza. È strano che il protagonista principale del romanzo sia una donna, nel mezzo di una guerra combattuta da uomini.
Io sono il tipo di scrittore che non comincia a scrivere una sola parola finché non ha deciso ogni sfumatura anche del più piccolo personaggio e soprattutto il contenuto di ogni capitolo. Avevo già cominciato a strutturare il giallo, pensando a varie ipotesi circa il colpevole, i colpi di scena eccetera… quando ho rivisto il film di Kubrick Orizzonti di gloria. È un film di guerra classico, dove tutto ruota attorno a personaggi dell’esercito. Tutti maschi. Nell’ultima scena però compare una ragazza. I nostri eroi sono chiusi dentro una bettola a bere e a divertirsi, quando il gestore fa salire sul piccolo palcoscenico una ragazza. Figuriamoci le urla e i fischi di gradimento dei militari. La ragazza intimidita, fra le lacrime, comincia a cantare. È tedesca la ragazza. Canta una canzone di guerra, triste e dolorosa. Un po’ alla volta i militari cambiano atteggiamento. Si commuovono. Quella ragazza non è più semplice oggetto del loro desiderio, quella ragazza diventa il simbolo di ogni sorella, fidanzata, madre… di tutte le donne che sono a casa e che aspettano e piangono per i loro ragazzi al fronte. Le donne… non sono state protagoniste della guerra, non sulla carta almeno, ma il loro dolore, le loro perdite, le loro fatiche, ad esempio nel lavoro dei campi privato delle braccia dei maschi, tutte queste cose le hanno rese protagoniste eccome. Faccio un esempio… nella fase di studio e ricerca per questo libro ho scoperto che una donna di Galliera Veneta perse sei figli maschi in guerra, tutti morti in prima linea… ora, se non è protagonista assoluta della guerra una donna che si è vista costretta a un sacrificio così enorme… bè, non saprei chi altro potrebbe esserlo.
Insomma, questo solo per dire che nel momento in cui stavo rivedendo il finale del film di Kubrick, in quel momento ho deciso che il protagonista del mio romanzo doveva essere una donna. Non sapevo come ciò sarebbe successo ma ho cominciato subito a pensarci. Ho dovuto fare spazio a questo nuovo personaggio stravolgendo un po’ di cose già decise, ho dovuto pensare a delle caratteristiche che potessero metterlo in relazione con tutti e tre i fatti che ho citato prima. Eccetera…
Quindi nella lavorazione del romanzo ci sono state due fasi ben distinte.
La fase di strutturazione è sempre la più lunga. Lavoro sui personaggi, sugli intrecci, sui fondali narrativi. Comincio poi a scrivere i contenuti dei capitoli su dei post-it e li attacco al muro. Scrivo e riscrivo i foglietti, li sposto, li incrocio, li ordino, avendo davanti sempre il quadro di una grande lavagna dove tutto un po’ alla volta trova forma e spazio. Finché questo quadro non è a mio giudizio perfetto non comincio a scrivere. A volte le soluzioni arrivano in breve tempo, altre volte bisogna saper aspettare. Poi le cosiddette illuminazioni possono arrivare da qualsiasi parte, come nel caso della visione del film di Kubrick. Nel caso specifico di Nina nella Grande Guerra questa fase è durata circa quattro mesi. Ma… tanto per dire… ho un busta nel cassetto dove ci sono i foglietti di un romanzo che mi sta molto a cuore. Ancora non ho trovato tutte le soluzioni e per cui lo tengo là. Ogni tanto lo tiro fuori, riattacco i foglietti al muro e ci dedico una mezza giornata. Lo scriverò solo quando sarò sicuro di ogni singolo aspetto.
Perché intanto non cominciare a scriverlo?
Perché magari poi sarei costretto a riscrivere delle parti, se non addirittura il romanzo per intero. È una cosa che sento capitare alla maggior parte delle persone che scrivono. Non voglio esprimere giudizi sul metodo degli altri, ma ho sentito dire da molti scrittori di avere riscritto un romanzo anche quattro o cinque volte. Bisogna riscrivere perché alla fine di una stesura ci saranno sicuramente delle incongruenze, delle parti che risulteranno inutili e pesanti, dei personaggi che si sono chiarati come personaggi nel corso della scrittura, per cui vanno cambiati al loro esordio, magari. No, no… mi manderebbe fuori di testa una cosa del genere. Se si decide tutto in precedenza, non ci potranno essere incongruenze e cose che non funzionano.
Dunque, la scrittura vera e propria di “Nina nella Grande Guerra” quanto è durata?
Non più di tre mesi. Ma si tenga presente che a quel punto, quando tutto è già stato deciso e valutato (le caratteristiche dei personaggi, i contenuti di ogni capitolo, addirittura la lunghezza di ogni capitolo)… bè, a quel punto c’è solo il piacere della scrittura. Non ci sono più cose da valutare, né scelte da fare. Tutto è chiaro, deciso e lineare. Alla fine della scrittura non ci sarà certamente bisogno di una seconda stesura, perché tutto già si tiene insieme perfettamente, appunto perché fa già parte di un progetto unitario e ben pensato.
Sembra un metodo che funziona.
Funziona, e lo consiglio a tutti quelli si approcciano alla scrittura. Diversamente, è come fare una casa senza un progetto. Se si fa una stanza alla volta, bisogna, a ogni nuova decisione, sfondare delle pareti, rifare il tetto, rifare gli scavi perché magari prima il bagno era di là e ora lo si vuole fare di qua. Non è più finita! E ogni nuova scelta rischia di essere angosciante, faticosa e costosa. E poi quando si scrive con la serenità di un progetto già ben definito… non c’è altro che il piacere della scrittura… e questo è fondamentale per riuscire a dare il meglio di sé.
Un libro scritto con piacere dunque, Nina nella Grande Guerra, e anche si legge con piacere.

Consigliato a tutti quelli che amano i romanzi storici, i gialli, le storie d’amore.

Italia.zip. Test di comprensione e compressione del Belpaese, anteprima oggi a Roma

Infinito edizioni vi invita alla presentazione, in anteprima del libro


di Mario Conte e Pierluigi Senatore
Prefazione di Antonino Di Matteo. Postfazioni di Attilio Bolzoni e Toni Capuozzo


lunedì 23 ottobre, ROMA, presso la libreria Mondadori, (via Piave 18), ore 17,00.
Dialogano con gli autori Antonino Di Matteo e Floriana Bulfon.

Due amici, un giudice e un giornalista, che risiedono a mille chilometri di distanza, l’uno al sud e l’altro al nord, si confrontano sulle rispettive realtà e sul futuro dell’Italia. Ne nasce un libro che in parte è saggio, in parte è dialogo e confronto profondo tra due persone che, attraverso i loro lavori “sensibili”, vivono quotidianamente le contraddizioni, i pregiudizi, le migrazioni e le divisioni del nostro Belpaese.
“Oggi l’Italia tutta, da Bolzano a Lampedusa, corre gli stessi rischi e sconta, sulla pelle dei cittadini onesti, gli stessi peccati. Come un cancro, la mentalità mafiosa si è espansa e annidata, a tutti i livelli, nella gestione della cosa pubblica e degli affari privati. La corruzione, la gestione clientelare e familistica del potere, l’uso spregiudicato delle risorse pubbliche, stanno sfiancando il Paese, stanno facendo smarrire, nei più giovani e nei migliori tra i giovani, la voglia e l’entusiasmo di impegnare qui le loro forze e le loro intelligenze”. (Antonino Di Matteo)
“Io provo paura quando vedo ancora le baracche abitate del terremoto di Messina del 1908; provo paura quando la mafia in questi ultimi anni si è travestita da antimafia; provo paura quando la retorica di qualche predicatore di  legalità è piegata ai suoi deliri di onnipotenza. È una paura che monta, che sale verso nord. Nella Fondi e nella Sabaudia di oggi che sono per omertà come la Corleone e la Partinico di ieri, nell’Emilia e nella Lombardia di politicanti che fanno finta di niente e garantiscono che ‘abbiamo gli anticorpi per respingere le mafie’”. (Attilio Bolzoni)
“Senatore e Conte hanno intrecciato le loro idee e tracciato le loro pagelle trovando alcuni valori comuni – comuni a loro due, più che alle rispettive comunità – a cominciare dalla legalità. Il resto, nonostante tutto, rivela un evidente amore per le rispettive piccole patrie, e il risultato, mi sembra, è il ritratto di una patria grande piena di difetti, e meritevole di amore”. (Toni Capuozzo)

Il libro:
Titolo: Italia.zip. Test di comprensione e compressione del Belpaese
Autori: Mario Conte e Pierluigi Senatore
€ 12,00 – pag. 96

Gli autori
Mario Conte
(Palermo, 1967) è stato Giudice dell’Udienza Preliminare (GUP) presso il tribunale di Palermo, dove oggi è Consigliere della Corte d’Appello. È stato componente del collegio che ha giudicato nel marzo del 2013 Marcello Dell’Utri. Appassionato di sport, è diventato magistrato all’epoca delle stragi di Capaci e via D’Amelio. Ha celebrato diversi processi di mafia, tra cui Eos2 e Addiopizzo Quater, da cui è nata l’idea di scrivere I dieci passi, libro redatto con Flavio Tranquillo, da cui sono stati tratti un lavoro teatrale e un progetto sulla legalità che ha coinvolto gli studenti delle scuole superiori di Palermo. Da anni gira nelle scuole di tutta Italia per diffondere i temi della legalità e della sensibilizzazione ai veri valori dello sport.
Con la nostra casa editrice ha pubblicato ITALIA.ZIP (2017, con Pierluigi Senatore).

Pierluigi Senatore (Milano, 1960) è giornalista professionista dal 1992. Nello stesso anno ha ricevuto il “Premio giornalistico Città di Modena” per il settore “Radiofonia”. Ha diretto la testata giornalistica del network radiofonico regionale Radio Bruno Emilia-Romagna. Ha collaborato con numerose testate giornalistiche con servizi su Madagascar, Cambogia, Nicaragua, tra i profughi del Saharawi in Algeria, sulla guerra nella ex Jugoslavia e sulla tragedia di Chernobyl. È stato tra i fondatori, con Paolo Belli e altri artisti, della Onlus “Rock No War”. Nel 2017 è stato insignito del Premio Internazionale “Verde Ambiente”, assegnato a personalità italiane e internazionali impegnate a difesa dell’ambiente, dei diritti civili e sociali.
Tra le sue pubblicazioni: Corre La Pace (Artestampa, 2005), Niet Problema! Chernobyl 1986-2006 (Artestampa, 2006, con il fotoreporter Luigi Ottani) che ha ricevuto il Primo Premio Bastianelli 2007, e ha partecipato con un saggio al libro Ti ricordi Cernobyl? (Infinito edizioni, 2006).

Con la nostra casa editrice ha pubblicato ITALIA.ZIP (2017, con Mario Conte).