Le mutilazioni genitali femminili (MGF), sono pratiche tradizionali che vengono eseguite
principalmente in 28 paesi dell'Africa sub-sahariana, per motivi non terapeutici.
Tali pratiche ledono fortemente la salute psichica e fisica di bambine e donne
che ne sono sottoposte.
L’Organizzazione
mondiale per la Sanità ha stimato che siano già state
sottoposte alla pratica 130 milioni di donne nel mondo, e che 3 milioni di
bambine siano a rischio ogni anno. Il 6 febbraio si celebra in tutto il mondo
la Giornata Mondiale contro l'infibulazione e le mutilazioni genitali
femminili, che, purtroppo, conoscono una serie di declinazioni e specificità.
Tutte queste mutilazioni ledono
gravemente sia la vita sessuale sia la salute delle donne, ed è a tutela di
queste ultime che si adoperano i movimenti per l'emancipazione femminile,
soprattutto in Africa, come
ampiamente testimoniato da Amnesty International nel suo Rapporto Annuale.
Le mutilazioni genitali femminili
hanno gravissime conseguenze sul piano psicofisico, sia immediate (con il
rischio di emorragie a volte mortali, infezioni, shock), sia a lungo termine (cisti,
difficoltà nei rapporti sessuali, rischio di morte nel parto sia per la madre
sia per il nascituro).
Per ricordare questa data regaliamo un
estratto dal libro di Emanuela Zuccalà dal titolo Donne che vorresti conoscere in cui si affronta questo tema.
Il grande albero protettore
delle sue notti di paura sta ancora lì, a presidiare i sentieri dell’infanzia.
Nice l’osserva con antica gratitudine, forse pensando che l’acacia sia l’unico
personaggio rimasto inerte in questa savana ventosa nel sud del Kenya,
sorvegliata dal Kilimanjaro che appare e scompare dietro la corsa delle nuvole.
Per spiegare la rivoluzione che dal villaggio masai di Nomayianat
sta investendo l’intera area, Nice torna indietro di quindici anni, quando lei
era una piccola orfana terrorizzata che sgattaiolava fuori da casa dello zio
per scomparire sotto il grande albero nell’attesa che le luci del giorno e
l’eccitazione per la cerimonia facessero dimenticare la sua assenza nel
conteggio delle bambine da “tagliare”. Per due volte s’è sottratta in questo
modo all’emuatare, il sanguinoso e ineluttabile rito di passaggio
all’età adulta per le femmine, guidata solo da un istinto infantile impossibile
da addomesticare: «Sapevo che avrei pianto e gridato, condannando la mia
famiglia alla vergogna. Durante la circoncisione, le bambine masai devono stare
zitte e ferme sulla pietra, senza muovere neppure gli occhi, altrimenti nessuno
le vorrà in spose. Per questo sarei fuggita all’infinito. Ma lo zio insisteva,
così mi decisi ad affrontare mio nonno, il capofamiglia: “Non voglio essere
tagliata – gli dissi – ho solo otto anni e, prima di diventare donna, devo
finire la scuola”. Lui era sbalordito ma era un uomo buono: finì per cedere
alla mia insistenza».
Oggi Nice Nailantei
Leng’ete è una ventitreenne alta e sinuosa, prossima alla laurea in management
sanitario e convinta che bastino un ideale e una testa dura per ribaltare
il mondo. Lei c’è già riuscita qui, nella società profondamente patriarcale dei
pastori masai sparsi per il paesaggio attorno alla cittadina di Loitokitok.
Impegnata fin da adolescente con l’organizzazione sanitaria Amref («Ero
l’unica ragazza del villaggio a saper leggere e scrivere: mi hanno scelta come
mediatrice tra gli operatori e la comunità masai»), ha trovato la chiave dello
sviluppo esorcizzando il suo spauracchio di bambina: il “taglio”. Perché «una
ragazza circoncisa, anche se ha solo otto o dieci anni, è considerata una
donna: deve sposarsi e fare figli. Abbandonerà la scuola e non saprà fare nulla
se non badare alla casa e ai bambini, perpetuando l’inerzia della sua
comunità». La ragazza istruita, invece, «porta più mucche», sta scritto sulla
sua t-shirt: uno slogan semplice ed efficace che ha indotto a
capitolare gli anziani masai esattamente come la piccola Nice, quindici anni
fa, era riuscita a persuadere suo nonno.
«L’abbiamo ascoltata perché è una di noi», dice Lemura Nkolepo,
anziano del villaggio di Nomayianat, avvolto nel mantello rosso e appoggiato
all’esiere, il bastone simbolo del potere maschile. «Ci ha spiegato cose
che non avevamo mai sentito prima, dandoci la speranza che, con questa
innovazione, potremo tutti prosperare».
(…)
L’eco internazionale non è tardata: Nice Nailantei Leng’ete è
stata invitata a tenere una Ted Conference ad Amsterdam e un discorso
alla Clinton Global Initiative di New York. «È stato esaltante, come
superare un esame importantissimo – confida – e poiché nessuno all’estero
riusciva a pronunciare il mio nome intero, ho detto a tutti: chiamatemi pure Miss
Kilimanjaro, è più semplice». Ha anche viaggiato in Italia come
testimonial di Amref per la salute materno-infantile in Africa:
condannare l’escissione, infatti, è un passo verso parti più sicuri, e il
concetto è arrivato persino a chi sulla circoncisione femminile ha sempre
campato.
La faticosa opera di
persuasione, sulla quale in pochi avrebbero scommesso uno scellino, pare ormai
compiuta tra i masai di Loitokitok, e Nice cammina per la savana come una
regina fasciata nei suoi abiti tradizionali viola e azzurri, salutata e
benedetta da tutti come una figlia capace di bizzarre alchimie. Dal dicembre
del 2013 all’aprile successivo, ha sottratto alla mutilazione genitale 621
ragazze dei distretti rurali, inventandosi un “rito di passaggio” alternativo
che rispetta le usanze masai mondandole dal sangue. «Siamo diventate donne
senza soffrire», sorride Anita, quindici anni, studentessa della scuola di
Inkariak Ronkena. Che racconta: «La cerimonia d’iniziazione è identica a quella
tradizionale, con danze e sacrifici di capre e mucche, solo che non c’è alcun
taglio. Gli anziani benedicono i nostri libri, i quaderni e le penne, per incoraggiarci
a studiare, mentre in passato auguravano alle ragazze solo di trovare marito in
fretta. Prima della festa, abbiamo seguito un training di due giorni
sull’educazione sessuale, l’igiene personale, le conseguenze dannose del taglio
e i nostri diritti di donne».
(…)
«L’istruzione è la nuova circoncisione, l’autentica iniziazione
all’età adulta. – recita un altro slogan inventato da Nice – Solo andando a
scuola, una bimba può diventare la donna dei propri sogni». E qual è la donna
dei tuoi sogni, Nice? Lei alza gli occhi al cielo nuvoloso, con uno sguardo
rimasto bambino, e non tradisce dubbi: «Voglio diventare la presidente di
un’organizzazione con tanti fondi, per poterli investire nell’educazione di
queste ragazze. Solo in loro sta il futuro della nostra comunità e del nostro
Paese».
Il congedo è una danza
sulla terra rossa tra canti acuti in onore di Nice, ambasciatrice di un’Africa
che s’è scrollata di dosso il cliché dell’inerzia.