Il
5 aprile 1992 paramilitari serbo-bosniaci
attaccano la scuola di polizia di Vrača, a
Sarajevo, dove sono in corso i festeggiamenti per la fine del sesto mese
di corso. Le forze speciali serbe pretendono di prendere possesso dei locali ma
il comandante della scuola si rifiuta. Comincia così la prima battaglia
registrata a Sarajevo della guerra del 1992-1995. Nella Bosnia orientale si
sparava già da qualche giorno. La battaglia dura 24 ore, dopo di che una
trattativa permette ai cadetti di lasciare la scuola, ma non al loro
comandante. Contemporaneamente, a Vrača cominciano violenze e saccheggi. È già il 6 aprile e sta
andando in scena la manifestazione rievocativa della
liberazione di Sarajevo
da parte dei partigiani nel 1945,
con circa 40.000 persone affollate sotto al
palazzo del parlamento. All’improvviso cecchini četnici serbo-bosniaci
aprono il fuoco sui manifestanti. La folla, in preda al panico, in parte entra
nel palazzo del parlamento, in parte marcia verso il ponte Vrbanja, sbarrato
dalla barricata che blocca l’accesso a Grbavica. Quando la folla avanza, un
cecchino apre il fuoco. Suada Dilberović, 23 anni, venuta da Dubrovnik per
studiare a Sarajevo, cade a terra senza vita. Anche Olga Sučić, croata, è
uccisa dai cecchini; altri sono feriti. Così inizia il lunghissimo assedio di
Sarajevo, durato circa 1.400 giorni, e la guerra in Bosnia Erzegovina,
terminata solo nel novembre del 1995 con la firma degli Accordi di Dayton (ma
in realtà l’assedio sarà tolto solo alla fine di febbraio del 1996).
Nello stesso giorno, il 6 aprile 1992,
inizia un bombardamento di artiglieria pesante da parte della Jugoslovenska
narodna armija (Jna) su Višegrad,
nella
Bosnia orientale. Gli abitanti di Višegrad fuggono
cercando rifugio presso amici e parenti. Un gruppo di
cittadini musulmano-bosniaci reagisce all’aggressione della Jna prendendo in
ostaggio alcuni serbo-bosniaci e occupando la centrale idroelettrica e la
diga. A capo del gruppo c’è Murat Šabanović, che minaccia di far saltare in
aria la diga, con conseguenze inimmaginabili. Comincia una drammatica
contrattazione in diretta televisiva, mentre sia Višegrad sia le cittadine e i
villaggi nei dintorni si vanno svuotando ulteriormente. L’iniziativa di
Šabanović ha l’effetto di fermare, temporaneamente, le cannonate della Jna. Il
12 aprile il bluff di Šabanović viene
scoperto e il 13 aprile il Corpo militare di Ušice può procedere con l’occupazione della
città, dove dal successivo mese di maggio si registrerà la prima approfondita
pulizia etnica ai danni dei musulmani di Bosnia, che a Višegrad costituivano il 63 per cento della
popolazione.
Circa tremila persone vengono uccise e
fatte scomparire. Lo stupro etnico ai danni di donne, bambini e uomini diviene
pratica comune. Il fiume Drina, mirabilmente cantato dal premio Nobel per la
letteratura Ivo Andrić, diviene la più grande fossa comune di quella guerra.
Višegrad. L’odio, la morte, l’oblio
di
Luca Leone è un reportage scritto
sul campo che racconta le vicende, raccoglie le testimonianze di tutte le parti
e fa il punto sull’episodio che ha rappresentato la prova generale di ciò che
sarebbe accaduto tra il 1992 e il 1995 a Srebrenica, Prijedor, Foča e in altri
luoghi passati alla storia per la crudeltà degli eventi verificatisi.
Luca
Leone presenta il libro venerdì 7 aprile ad Ancona alle 18,30 presso
Zazie, corso Mazzini 79. Modera Paolo Pignocchi, vicepresidente di Amnesty
International; organizza il Gruppo Amnesty International di Ancona.
Con
il patrocinio di Amnesty International
sezione italiana, Cisl Emilia Romagna, Iscos Emilia Romagna, Mirni Most