“Sono venuta con la famiglia, ma mia
sorella ci ha raggiunti in un secondo momento. La prima volta sono venuta qui
con tutta la mia famiglia, anche con mio padre. Dopo poco tempo mio padre, mio
fratello e i miei zii sono tornati in Siria, per combattere con i ribelli.
Successivamente mio padre ci ha chiesto di raggiungerlo di nuovo ad Aleppo, ma
alla fine siamo di nuovo venuti tutti qui. Ora papà ha smesso di combattere,
non ha un lavoro ma ha dei soldi da parte. Anche mia madre sta a casa, mentre
gli zii hanno un’occupazione”, racconta Judiye, aleppina di 11 anni alla
giornalista Laura
Tangherlini in Matrimonio siriano, libro più documentario in Dvd.
L’autrice trasforma il diario di viaggio del proprio matrimonio in
una raccolta di voci e testimonianze dei tanti profughi – in maggioranza
bambini e donne – incontrati nei campi in Turchia e in Libano dai due neosposi.
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venerdì 29 settembre 2017
Siria, due incontri oggi e domani con Laura Tangherlini
mercoledì 27 settembre 2017
Christiana Ruggeri parla di Venezuela e diritti negati il 30/9 ospite del Festival dell’Erranza
Il Venezuela, dove la percentuale di
bambini malnutriti è aumentata in maniera esponenziale in pochi mesi, è al
centro di una crisi economica, sociale e politica pesantissima.
Un altro aspetto critico del Paese
sudamericano è la situazione carceraria, che vede gli ultimi diventare
invisibili. In questo quadro a tinte fosche si inserisce la figura di Rico, uno dei tanti piccoli spacciatori dimenticati dentro al PGV
(Penitenciaría General de Venezuela), il carcere di San Juan de Los Morros gestito dai narcotrafficanti. Oltre le sbarre, le guardie bolivariane
non entrano. E accade di tutto. Poveri diavoli e assassini
sanguinari convivono: i primi subiscono e scompaiono, i secondi spadroneggiano.
Rico raccoglie di nascosto le loro storie, per dare un senso ai suoi
giorni. Malato e stanco, prima di morire affida il suo reportage dalla
fine del mondo, alla goccia bianca, la suora-maestra del PGV. La
giornalista Christiana Ruggeri nel romanzo-denuncia I dannati. Reportage
dal carcere venezuelano più pericoloso del mondo lancia, attraverso
il protagonista un grido d’aiuto per i suoi compagni di
prigionia ma anche una ricerca
disperata di assoluzione e di giustizia.
“La situazione all’interno degli istituti di pena (e anche nei centri di
detenzione pre-processuale) in Venezuela è tragica. Il racconto di Riccardo,
riportato in questo libro, lascia senza fiato. E Christiana Ruggeri è
straordinariamente brava nel renderlo testimonianza drammatica, incalzante,
nello scriverne come se avesse visto coi suoi occhi”. (Riccardo Noury)
“La Penitenciaría non è uno strumento di contrasto alla
criminalità, ne è semmai la roccaforte. L’inferno di violenza e di ferocia che
il libro descrive non è costruito per ridurre il crimine o i reati, ma per
comprimerli in uno spazio circoscritto in cui gestirli, monitorarli e, quando è
possibile, valorizzarli, ovvero estrarne valore economico attraverso una
gestione corrotta del carcere. In questo modo non si contrasta né si riduce la
criminalità, ma si prova a relegarla in uno spazio, materiale e simbolico,
diverso dal nostro. E questo, che piaccia o meno, accade in ogni Paese al
mondo”. (Alessio Scandurra)
L’autrice
parteciperà alla V edizione del Festival
dell’Erranza presentando il libro sabato
30 settembre a PIEDIMONTE MATESE (CE), alle
18,15.
Con il patrocinio di Antigone
Onlus
martedì 26 settembre 2017
27-30 settembre, le Quattro giornate di Napoli
Le Quattro giornate di Napoli (27-30 settembre 1943) furono un episodio storico di
insurrezione popolare avvenuto nel corso della seconda guerra mondiale tramite il quale, i civili, con
l'apporto di militari fedeli al cosiddetto Regno
del Sud, riuscirono a liberare la città partenopea dall'occupazione delle forze armate
tedesche.
L'avvenimento, che valse alla città
di Napoli il conferimento della medaglia d'oro al valor militare,
consentì alle forze Alleate di trovare al loro arrivo, il 1º
ottobre 1943, una città già
libera dall'occupazione nazista,
grazie al coraggio e all'eroismo dei suoi abitanti ormai esasperati ed allo
stremo per i lunghi anni di guerra. Napoli fu la prima, tra le grandi città
europee, ad insorgere con successo contro l'occupazione nazista.
Ripercorriamo insieme a Camillo Albanese, autore del
libro dal titolo “Napoli
e la seconda guerra mondiale” quei giorni tanto
drammatici ed eroici.
«In quei giorni si videro
scene drammatiche, interi caseggiati circondati, uomini strappati dalle loro
case, ammassati per strada sotto la minaccia dei mitra che ogni tanto facevano
sentire la loro sinistra voce per aumentare il terrore e dissuadere i parenti
ad avvicinarsi. L’intensificarsi dei rastrellamenti portò in quei giorni a
razziare circa ottomila persone, buona parte delle quali furono mandate nel
campo di concentramento di Capodimonte, altre consegnate agli uffici di polizia
italiani perché venissero accompagnati ai centri di raccolta. Molti commissariati,
invece di eseguire l’ordine, lasciarono liberi i malcapitati fornendo loro
anche armi. (…)
All’alba del 28 la rivolta
scoppiò quasi contemporaneamente in vari punti della città; la cosa
sorprendente fu che non era stata organizzata, non c’era un piano strategico
generale, una mente coordinatrice. Ciascun gruppo agiva all’interno del proprio
quartiere e non era in contatto con altre formazioni. Ciò se da un lato poteva
rappresentare un limite, dall’altro permetteva ai partigiani di muoversi con
sicurezza tra le strade e le stradine della loro zona, di cui conoscevano i
rifugi, i vicoli senza sbocco, i fondachi, i portichetti, quindi erano
avvantaggiati rispetto al nemico.
Data questa situazione, si
procedeva a compartimenti stagni ma non furono rari i casi in cui ci furono
sconfinamenti nelle aree limitrofe quando ci si accorgeva che occorreva rinforzare
le postazioni.
Da quanto è dato sapere,
la scintilla scoppiò in un vicolo del quartiere Avvocata. Qui una pattuglia
tedesca sfondò il portone di un calzaturificio per forniture militari e si
dette a saccheggiarlo. Gli abitanti della zona, inferociti, cominciarono a
sparare sui militari, che risposero al fuoco. A quel punto non si capì più
nulla: si sparava da tutte le parti, dai portoni, dalle finestre, dai balconi,
dagli angoli delle strade. Una giovane donna, Maddalena Cerasuolo, detta
Lenuccia, fu l’eroina di quello scontro (fu poi insignita della medaglia di
bronzo). La ragazza, senza preoccuparsi dei proiettili che le sibilavano
intorno, correva avanti e indietro per rifornire di bombe a mano i combattenti.
Nella stessa ora
l’insurrezione scoppiò nei quartieri più popolari di Napoli: il Vasto, la
Sanità, la zona della Stazione e di seguito, a poca distanza di tempo, in
piazza Cavour, via Duomo, corso Umberto, piazza Plebiscito, all’incrocio del
Museo, là dove convergono quattro strade: via Salvator Rosa, vie Enrico
Pessina, via Museo, via Santa Teresa. (…)
“Fu – secondo la
testimonianza di Antonino Tarsia in Curia – una guerriglia accanita e spietata
condotta con estrema violenza nella quale gruppi, gruppetti e persino individui
isolati sostennero azioni cruente – determinate da contingenze di luogo e di
tempo – le quali ebbero una continuità nel loro svolgimento dovuta, più di ogni
altro, al frazionamento delle forze tedesche su tutto il territorio della città
di Napoli”.
La sera del 28, Napoli si presentava
come un campo battaglia. Il popolo, guidato soprattutto dall’odio verso i
nazisti prodotto dalla sofferenza per le iniquità subite, ora li costringeva a
ritirarsi. I successi degli scontri, nonostante i tanti morti e feriti,
esaltarono ancor più gli animi, caricando di maggior foga le azioni guerresche.
Si continuava a combattere in via Santa Teresa, dove all’altezza di Materdei
furono erette barricate sia disselciando la strada sia rovesciando una vettura
tranviaria; qui gli scontri durarono tutta la notte tra il 28 e il 29. Anche
via Salvator Rosa fu sbarrata da imponenti barricate, che impedirono il
transito ai carri armati nemici.
La mattina del 29
settembre la rivolta armata scoppiò in tutto il Vomero e nelle zone adiacenti e
fu condotta con coraggio e determinazione. C’erano tedeschi asserragliati negli
edifici di via Kerbaker, via Solimena, via Cimarosa, piazza Medaglie d’oro e
nella palazzina del campo sportivo e si difendevano come potevano dagli assalti
dei partigiani, mentre in piazza Vanvitelli, via Alvino, la Pigna, piazza
Leonardo, Cappella dei Cangiani gli scontri avvennero in campo aperto.
Era l’alba e in via
Kerbaker c’era un gruppo di nazifascisti che sparava da una finestra del quarto
piano. I partigiani risposero al fuoco, erano allo scoperto, due furono
gravemente feriti, se ne salvò solo uno. Quando fecero irruzione
nell’appartamento, i nemici erano fuggiti per i tetti, lasciandosi dietro
macchie di sangue e una vecchia in preda al terrore.
In via Solimena furono
messi in fuga alcuni tedeschi che, con una mitragliatrice messa su un davanzale
di un abbaino, sparavano all’impazzata. L’operazione costò la vita a un
partigiano.
Due giovani militi
fascisti che montavano la guardia alla sede del fascio, in via Cimarosa, furono
disarmati e massacrati di botte.
Una postazione, annidata
nel palazzo detto il Transatlantico,
in piazza Medaglie d’oro, fu messa a tacere con un’abile azione.
Un intenso combattimento
si svolse intorno al campo sportivo durante tutto il 29. Circa sessanta tedeschi,
comandati dal maggiore Sakau, erano rinchiusi nelle due palazzine all’ingresso
del campo; avevano 47 ostaggi e sparavano senza sosta contro i partigiani, che
avevano preso posizione nei fabbricati di fronte. In rinforzo ai partigiani
arrivò una camionetta guidata dal vigile del fuoco Mario Canessa, con a bordo
una mitragliatrice. Il vicebrigadiere dei carabinieri Vincenzo Pace saltò sulla
camionetta, mise in posizione l’arma e concentrò il fuoco verso il nemico.
Pace, dopo poco, venne ferito e il suo posto fu subito preso da un altro. I
combattimenti continuavano. Erano le 18,00 quando dall’ingresso del campo
apparve il maggiore Sakau preceduto da una bandiera bianca e circondato da
altri militari. I partigiani s’avvicinarono, uno di loro conosceva il tedesco.
Il maggiore chiese di cessare il fuoco e di lasciar passare i suoi uomini,
minacciando l’uccisione degli ostaggi. La controproposta dei partigiani fu: “O
la resa o continuare a combattere”. Sakau scelse la seconda soluzione. La
sparatoria continuò ancora per un’ora ma poi riapparve dal cancello del campo a
bordo di una camionetta con bandiera bianca portata da un suo subalterno. Si
riaprirono le trattative; il maggiore disse che per arrendersi occorreva
l’ordine del comandante Scholl che risiedeva all’albergo Parco in corso Vittorio Emanuele, eletto a quartiere generale.
Mentre si stava decidendo il da farsi, l’autista, pare preso dal panico alla
vista di alcuni uomini armati fece esplodere una bomba a mano che mise fuori
uso l’automezzo. Con un’altra macchina la delegazione tedesca, disarmata, venne
portata in corso Vittorio. All’albergo Parco
regnava il caos più totale, fervevano i preparativi per la fuga. In breve fu
raggiunto l’accordo: i 47 ostaggi sarebbero stati liberati e i tedeschi
sarebbero stati lasciati liberi di partire. Intorno alla mezzanotte rientrò al
campo sportivo la delegazione, l’accordo fu mantenuto da tutte e due le parti e
i tedeschi partirono su tre autocarri. Nella battaglia del campo sportivo
persero la vita sette civili.
Piazza Vanvitelli divenne
l’epicentro dei combattimenti. Quadrivio strategico per i belligeranti, lì si
concentrarono i partigiani provenienti dalle strade circostanti. All’angolo di
via Luca Giordano una mitragliatrice tedesca sputava fuoco a ripetizione, fermando
l’assalto dei partigiani; uno di essi, uscito allo scoperto, si lanciò contro
ma una raffica lo ferì mortalmente. Gli scontri continuavano. Dopo circa due
ore di combattimenti, verso le 17,30 un fortissimo temporale sembrò placare gli
animi: cessarono gli spari ma, finito il temporale, i tedeschi ripresero a
scorrazzare nella zona e due autoblindo sparavano su ogni cosa si muovesse. I
due mezzi furono fermati da bombe a mano lanciate dalle finestre.
Durante la notte i
tedeschi a piedi o motorizzati gridavano: “Italiani non sparate”. Un grido
esplicativo del loro stato d’animo.
Sempre il 29, intorno alle
nove del mattino, i partigiani intercettarono una camionetta tedesca che
rimorchiava un’automobile. Ordinarono l’alt
ma la camionetta proseguì accelerando. Fu inseguita con un’altra vettura e,
raggiunta, cominciò la sparatoria; i tedeschi rimasero feriti e furono fatti
prigionieri.
In via delle Pigne i
partigiani furono alle prese con delle mine, che se scoppiate avrebbero
gravemente danneggiato i palazzi del circondario. Riuscirono a toglierle sotto
il fuoco nemico e a buttarle in un pozzo adiacente. La sera, poi, vedendo
passare un’autocolonna nemica, si predisposero per impedirne il transito. Forti
di una mitragliatrice e con l’appoggio di altri gruppi di partigiani armati di
mitra e bombe a mano, la partita si chiuse a vantaggio dei napoletani.
Il 29, a mattina
inoltrata, gli scontri si fecero aspri in piazza Leonardo. I partigiani per
impedire ai tedeschi, provenienti da piazza Medaglie d’oro, di raggiungere via
Salvator Rosa, fortificarono la zona e appena videro passare il primo
autocarro, armato di mitragliatrice, aprirono il fuoco costringendo gli
occupanti a darsi alla fuga. Stessa sorte toccò a un altro automezzo che fu
abbandonato, come il primo, nelle mani dei partigiani.
A Cappela dei Cangiani i
tedeschi, per garantirsi il transito senza pericolo, dettero luogo a una
perquisizione dei fabbricati e presero dodici ostaggi. Li trascinarono per
strada e stavano per fucilarli quando un commando
di partigiani intervenne a liberarli.
La sera del 29 settembre,
mentre i partigiani del Vomero attendevano la delegazione tedesca con
l’autorizzazione del colonnello Scholl a trattare la resa, si riunirono nei
locali del liceo Sannazzaro per la
formale costituzione di un comando dei partigiani. Per acclamazione fu nominato
capo del comando Antonino Tarsia in Curia e alla formazione, priva di colore
politico e avente solo scopo patriottico, fu dato il nome di Fronte unico
rivoluzionario, con sede nel liceo. Si procedette a dare un minimo di
organizzazione alla neonata compagine e a risolvere i problemi più urgenti. Tra
questi, quello di fornire viveri ai partigiani, digiuni dal mattino. Fu
composta una squadra per il reperimento di qualunque cosa fosse commestibile.
Con le buone e con la forza si riuscì a racimolare razioni sufficienti per
sfamare circa duecento persone.
Un altro reparto di
partigiani fu incaricato di dare la caccia alle spie e ai gerarchi fascisti
annidati nei vari appartamenti. Compito che fu assolto secondo le precise
direttive di Tarsia.
Spuntava l’alba del 30
settembre, l’epopea delle Quattro Giornate stava per concludersi. Nel liceo Sannazzaro si decise di emanare
un’ordinanza per dissuadere i male intenzionati ad azioni non in linea con i
programmi del Fronte. Il proclama, a firma Tarsia, così recitava:
“Assumo
temporaneamente i poteri civili e militari.
Ciascuno
faccia scrupolosamente il suo dovere, la disciplina deve essere assoluta. Sono
vietate tutte le manifestazioni che turbano l’ordine pubblico. I negozi debbono
rimanere aperti: squadre d’azione rivoluzionaria sorveglieranno la disciplina e
la vendita nei pubblici esercizi.
Napoli,
30 settembre 1943”.
Lo stesso giorno il
tenente colonnello Felicetti si recò al comando del Fronte prospettando lo
stato d’inedia della popolazione e la possibilità di rimediare con un carico di
circa cento quintali di farina; per trasportarli, però, chiedeva due automezzi.
L’ufficiale era conosciuto per la sua serietà ma, date le circostanze, la diffidenza
non era troppa. Ebbe i suoi camion con la raccomandazione di portare a termine
la missione, pena una severa punizione.
Cominciò il lungo viaggio
dei due camion, che si manifestò pieno d’insidie e di pericoli. Giunti a un
mulino che sorgeva ai margini del campo d’aviazione di Capodichino, entrarono
da un portone laterale in maniera che i tedeschi, ancora sulle piste e negli hangar, non riuscissero a vederli.
Mentre stavano ultimando il carico, tuttavia, s’accorsero che i militari
stavano per intervenire. Solo la prontezza di spirito di Felicetti salvò il
salvabile: lasciò il camion ancora non completo e partì con quello pieno
attraverso strade impervie che solo lui conosceva. Fu un viaggio pericoloso
perché dovette evitare tutte le zone dov’era prevedibile fare brutti incontri.
Il viaggio durò dieci ore ma l’ufficiale italiano riuscì a portare a
destinazione un camion di farina, che fu provvidenziale. I panettieri furono
mobilitati e riuscirono a produrre pane per gli abitanti del Vomero in ragione
di cento grammi a testa.
Nel pomeriggio del 30
settembre ci fu un tentativo da parte di un console fascista e dei suoi uomini
di assaltare la sede del Fronte unico rivoluzionario. I partigiani,
preventivamente avvisati del blitz,
predisposero le forze in modo tale che quando arrivarono i fascisti ebbero
un’accoglienza talmente rumorosa che se la dettero a gambe disperdendosi senza
lasciare traccia.
Il tramonto aveva concluso
il suo breve ciclo e la sera declinava verso il desiderio della notte. La
città, stanca, sembrava sonnolenta. I partigiani avevano disposto le ronde in
luoghi strategici. Le sparatorie dei giorni e delle ore precedenti erano
cessate; solo qua e là qualche colpo isolato, ultimo rantolo d’una battaglia
morente.
In lontananza si sentiva
il tuono dei cannoni. Lo scontro era adesso tra l’armata tedesca in ritirata e
quella anglo-americana che avanzava. Anche le navi da guerra americane e
inglesi contribuivano a quel fragore rassicurante. In cielo i proiettili
traccianti, i razzi illuminanti, lo scoppio di granate offrivano uno spettacolo
che si sarebbe potuto definire piacevole se non avesse nascosto distruzione e
morte. Con questa scena calava il sipario sulle Quattro Giornate di Napoli, 76
ore di combattimenti, dal mattino del 28 settembre all’alba del primo ottobre,
che costarono la vita a 178 partigiani e il ferimento di 162».
lunedì 18 settembre 2017
Carzano 100 anni dopo
Carzano, piccolo
comune della provincia di Trento, fu teatro 100 anni fa di un episodio della
Grande Guerra sconosciuto ai più. Nella
notte del 17 settembre 1917 persero la vita 910 soldati italiani e 316 militari
austriaci. La mattina dopo l’esercito austriaco riconquistò il paese. Questo è
stato il bilancio del tentativo di diserzione del Battaglione Bosniaco che
combatteva per Vienna che, in accordo con lo Stato Maggiore italiano, avrebbe
dovuto rompere
le difese austriache, conquistare tutta la Val Brenta e straripare fino a
Trento.
L’azione,
nonostante l’eroismo dei congiurati e di alcuni ufficiali italiani, si tramuta
in una rotta del nostro esercito, in un massacro inutile e nella cattura di
molti disertori del Battaglione Bosniaco. Un mese dopo, il 24 ottobre, ci
sarebbe stata la disfatta di Caporetto. Una pagina vergognosa di storia
italiana ignota ai più, raccontata in una ricostruzione storica straordinaria.
Daniele Zanon e
Valerio Curcio nel romanzo storico Il Battaglione
Bosniaco, ripercorrono quei giorni concitati e per lungo tempo
dimenticati.
venerdì 15 settembre 2017
Corea del Nord, lanciato un nuovo missile sopra il Giappone
Nuova provocazione alla comunità internazionale da
parte di Kim Jong-un con il lancio di un missile che ha sorvolato il Giappone
superando l’isola di Hokkaido e andando a cadere nel Pacifico a 3.700 km di
distanza da Pyongyang.
“Non tollereremo più”, è stata la reazione del premier giapponese Shinzo
Abe e per oggi è convocata una riunione d’urgenza del Consiglio di sicurezza
delle Nazioni Unite.
Quali sono le condizioni di vita della popolazione
nordcoreana, sottoposta alla pressione della dittatura della famiglia dei Kim? Tremende
e durissime, come ci racconta Daniele Zanon in “Mass Games. Fuga dalla Corea
del Nord”, avventuroso e avvincente romanzo che vede protagonisti dei ragazzi
ospiti di una comune di rieducazione e la loro fuga verso la libertà.
lunedì 4 settembre 2017
Corea del Nord, il Day After
Sono passate poche ore dal lancio della prima bomba a
idrogeno da parte della Corea del Nord. Un ordigno dalla forza e dagli effetti
spaventosi, circa cinque volte più potente della bomba sganciata dagli Stati
Uniti su Nagasaki il 6 agosto del 1945. Il test di ieri ha provocato due scosse
di terremoto; la prima, di magnitudo 6,3, e l’altra pari a una magnitudo 4,6, sono
state rilevate dal China Earthquake Network Center secondo cui l'ipocentro è
stato misurato a «zero chilometri», a conferma della natura artificiale
dell'onda sismica.
Si teme l’avvio di un’escalation, con prove di forza da parte del regime nordcoreano e conseguenti reazioni da parte dei confinanti sudcoreani nonché del Giappone e degli Stati Uniti.
Si teme l’avvio di un’escalation, con prove di forza da parte del regime nordcoreano e conseguenti reazioni da parte dei confinanti sudcoreani nonché del Giappone e degli Stati Uniti.
In questo clima di trepidante attesa un pensiero non
egoista va alla popolazione nordcoreana, imprigionata in una dittatura senza
scampo: per questo riportiamo le parole di Alex Zanardi che ha curato la
prefazione di “Mass Games. Fuga dalla Corea del Nord” di Daniele Zanon.
“Mass Games è
un libro bello e coinvolgente. Una storia d’avventura che affronta temi
classistici come la sete di libertà, l’amicizia e il coraggio. Può sembrare un
racconto da accostare ad altre storie che parlano di regimi inventati e che si
snodano attorno a scenari fantasiosi. Se non fosse che Mass Games parla di un Paese che è vero. Se non fosse che la fonte
che ha ispirato questo racconto, ha vissuto per anni dentro al regime di
Pyongyang. Prima di leggere questa storia, nella mia mente, la Corea del Nord
era un luogo estraneo. Mass Games mi
ha preso e mi ha portato lì, nella vita dura di una casa di correzione immersa
nel nulla, nella bellezza finta di Pyongyang, nelle campagne affamate da una
carestia che dura da decenni. Per questioni di sicurezza, l’autore non ha
potuto rivelare il nome della sua fonte, né ha potuto scrivere una storia vera.
Ma, anche se i personaggi sono di finzione, tutte le descrizioni che vengono
fatte della Corea del Nord (la vita del popolo, la miseria, le violazioni dei
diritti negli orfanotrofi) sono verità di prima mano raccolte sul campo. Nella
storia di fuga intrapresa dai protagonisti, poesia e crudeltà si mescolano. Il
racconto si muove velocissimo, è quello che si dice “un romanzo che prende”, e
la cosa più apprezzabile è che, pur denunciando le condizioni di vita di un
popolo, non imbocca mai le facili scorciatoie del sentimentalismo. Rinunciando
a uno sguardo che indugia sul dramma fine a se stesso, Mass Games mantiene una freschezza e una leggerezza narrativa che
lo rendono assolutamente godibile. Una di quelle storie che si leggono come
bere un bicchier d’acqua.
Credo che certi libri abbiano il potere di far entrare
nella coscienza collettiva la consapevolezza di un luogo o di una problematica.
Mi auguro che questo, non a caso patrocinato da Amnesty International, faccia prendere coscienza delle condizioni
di vita del popolo nordcoreano, considerate dalle Nazioni Unite fra le peggiori
al mondo.”
venerdì 1 settembre 2017
Iran al pistacchio e la sfida alla California
Bronte
a parte, in Italia non abbiamo forse un’idea precisa del mondo incredibile – e
del mercato immenso – che gira intorno al pistacchio, questo meraviglioso seme
per il palato raccolto dall’albero delle anacardiacee.
Da
qualche giorno in Iran è cominciata la raccolta del pistacchio, settore che
ormai ha da tempo abbandonato la tradizione famigliare per diventare un immenso
business. L’Iran è infatti, a oggi, il principale sfidante della
California nella produzione mondiale di pistacchio e, in questa competizione, è
abbondantemente in testa, con oltre il 50 per cento della produzione
planetaria.
I
numeri, come sottolinea l’agenzia di stampa pubblica iraniana Irna (che
va ovviamente presa con le dovute cautele), sono impressionanti. Nel 2016 gli
alberi iraniani hanno prodotto circa 170.000 tonnellate di pistacchi. La
raccolta del 2017, che si protrarrà per quasi tutto settembre, dovrebbe
fruttare 235.000 tonnellate. Se lo scorso anno l’export iraniano in
materia ha superato le 130.000 tonnellate, per introiti pari a 1,2 miliardi di
dollari, nel 2017 è atteso un incremento rispettivamente a 150.000 tonnellate e
a 1,5 miliardi di dollari. Tra i principali importatori, tra l’altro, oltre
all’Italia ci sono proprio gli Stati Uniti, nonostante la produzione
californiana.
E
se prima o poi scoppiasse una pace verde al gusto di pistacchio?
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