Cento anni fa, il
24 ottobre del 1917, si combatteva la battaglia di Caporetto, la più nota tra
gli scontri della Grande Guerra per il suo esito disastroso. Abbiamo chiesto al
nostro autore Dario Ricci, che insieme all’alpinista Daniele Nardi ha saputo
unire la storia del primo conflitto mondiale ai campioni dello sport che vi
sono stati coinvolti nel testo “La migliore gioventù”, un approfondimento
su quanto accaduto allora e sulle conseguenze nel rapporto tra sport e storia.
Se solo la più
recente storiografia ha messo realmente a fuoco, non solo il significato, ma le
stesse effettive dinamiche della ‘ritirata di Caporetto’, ancor più a noi
vicini sono gli studi che evidenziano il ruolo-chiave che quest’evento ebbe nel
modificare abitudini, stili di vita, approccio di ampi strati della società
italiana all’attività sportiva. Una disfatta, almeno nella percezione di
allora, dal punto di vista strategico-militare, ma anche una fondamentale presa
di consapevolezza identitaria collettiva e una rivoluzione sotto il profilo
sportivo. Questa fu Caporetto per l’Italia di un secolo fa. La disfatta, il
nemico sul territorio, la sensazione della devastante sconfitta che incombeva,
modificarono mentalità, comportamenti, attitudini. E anche la percezione del
ruolo dello sport, della formazione fisica, della sua importanza nella società
e in trincea.
Mai sapremo se
senza il contropiede austro-teutonico-ungarico della ‘12ma battaglia
dell’Isonzo’, nota come battaglia di Caporetto, saremmo diventati noi, e non
l’Olanda, l’Arancia Meccanica fautrice del calcio spettacolare e offensivo
negli Anni Settanta. Quel che è certo, è che il malrovescio militare subìto, diede
anche l’idea dell’impreparazione fisica del Paese, e del suo esercito, allo
sforzo bellico. “Ad essere messa in discussione – ricorda Sergio Giuntini nel
suo Lo sport e la Grande Guerra – fu,
innanzitutto, l’egemonia ginnastica”. Così, continua lo storico dello sport,
“in seno all’Esercito s’iniziarono ad associare all’antica ginnastica metodica
gli sport di squadra, il podismo, l’atletica leggera e quelle discipline che,
dalle olimpiadi decoubertiane, avevano ricevuto la massima legittimazione e popolarizzazione
internazionale”. “Sarà in particolare la revisione dei metodi di training e di
propaganda nelle retrovie, imposta dal disastro di Caporetto – scrive Felice
Fabrizio in Storia dello Sport in Italia
– a portare alla ribalta il giuoco sportivo e la competizione agonistica”.
Insomma: calcio, corsa, boxe, ma anche basket e pallavolo garantivano quel
surplus di agonismo, cameratismo e – perché no – divertimento e ricreazione,
che la ginnastica, con la sua ricerca di perfezione estetica e la sua competizione
attenuata, non poteva garantire.
Senza dimenticare
che l’arrivo massiccio di forze alleate sul fronte italiano, proprio in seguito
allo sfondamento del fronte a Caporetto, rese evidente il differente ‘passo
sportivo’ di inglesi, francesi e americani rispetto ai nostri soldati, e favorì
commistioni nella preparazione fisica e diffusione di altre discipline fino ad
allora ben poco conosciute in Italia.
Basti pensare che
James Naismith, ideatore della pallacanestro, cappellano militare presbiteriano
nell’esercito statunitense e propagandista della Young Men’s Christian
Association (YMCA), nel settembre 1917 venne invitato a Parigi, e diede vita
nel gennaio 1918 a un campionato di basket con ben 21 squadre iscritte! Da lì,
la palla a spicchi rotolò rapidamente nelle nostre retrovie. L’esercito
americano portò con sé anche reti e palloni per la pallavolo (pur intesa come
disciplina preparatoria ad altri sport), e soprattutto istruttori, preparati
proprio nell’ambito dell’YMCA. E il legame degli inglesi con atletica e
football era indissolubilmente radicato fin dalle “Public Schools”, le scuole
della borghesia britannica in cui mai riuscì ad attecchire la ginnastica. Un
amore che non poteva certo essere dimenticato in trincea, tanto che – come
ormai noto – in più di un’occasione i soldati di Sua Maestà durante il
conflitto si lanciarono contro gli schieramenti nemici calciando un pallone da
football.
Caporetto fu, nella
sua drammaticità, il catalizzatore di questo cambiamento. Fino al maggio 1917
le uniche strutture di supporto educativo e d’intrattenimento per le truppe
italiane erano quel centinaio di ‘Case del Soldato’, con sale lettura e qualche
sala di proiezione cinematografica, create al fronte da don Giovanni Minozzi.
Il tracollo imminente dopo il 24 ottobre 1917 porta a un cambio di rotta
radicale, consapevolmente attuato dal nuovo Comandante Supremo, il Generale
Armando Diaz: con l’inizio del 1918 ecco nascere il ‘Servizio P.’, con la
designazione per ogni Armata di un ufficiale incaricato alla Propaganda
bellica. Molteplici gli obiettivi: in primis cura del vitto, degli
alloggi, dell’igiene, del vestiario dei soldati; ma anche eliminarne le cause
del malcontento, distribuire carta da lettere e aiutare chi non ne era capace a
scrivere a casa, tenere alto il morale anche attraverso cinema e giochi,
spronando all’attività fisica, al gioco e impiantando campi per la pratica
sportiva. Così, dopo Caporetto, i nostri militi si scoprirono più sportivi. E
anche per questo, alla fine, alla fine vincenti.