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martedì 31 gennaio 2017

"La fuga. Percorsi di rifugiati d'Oriente e d'Africa"

Indagine giornalistica e saggio storico scritto con piglio narrativo e discorsivo, La fuga racconta le vicende di quattro rifugiati oggi in Italia, provenienti da Afghanistan, Iran, Pakistan e Sudan. Le quattro storie sono unite dal momento tragico della “rottura”, in ogni Paese avvenuta per cause differenti (attentati, dittature, torture, motivi religiosi o politici, mancanza di libertà), che ha costretto le vittime a fuggire e a intraprendere un viaggio verso un luogo più sicuro. Ogni vicenda è accuratamente inserita nel contesto storico e politico del Paese d’origine e offre un quadro scrupoloso delle principali vicende e cause storiche che hanno portato alla situazione attuale e al dilagare del terrorismo e del fanatismo religioso.
“L’autrice ci accompagna in un viaggio che, a leggerlo con occhi attenti, va al di là dei percorsi individuali. Ecco allora che quella parola, ‘immigrati’ o peggio ‘clandestini’, svanisce nel vuoto dove è nata. Perché ogni storia è un racconto a sé, ogni parola è un racconto a sé. E quelli che noi pensiamo comodamente essere tutti uguali, perché stranieri, sono invece persone, ciascuna con una sua storia, la cui unica colpa è di essere nati in un angolo sfortunato di mondo”. (Marco Aime)
“Loro non vengono da un altro pianeta, anche se li definiamo extracomunitari. Sono esseri umani. Qualche volta sembra che lo dimentichino anche loro; noi, quelli del perbenismo, lo facciamo spesso”. (Franco Montenegro)

Il libro:
Titolo: La fuga. Percorsi di rifugiati d’Oriente e d’Africa
Autrice: Chiara Michelon
Pag. 96 - € 12

L’autrice

Chiara Michelon è nata e cresciuta a Padova ma vive a Senigallia dal 2002. Laureata in Lettere e grande appassionata di cinema, si è cimentata in vari lavori inerenti alla scrittura e alla comunicazione, a partire dagli inizi come giornalista per Il Corriere Adriatico. Ha scritto Noi, bambini di strada (Laterza, 2006), Una vita per il sindacato (Quaderni del Consiglio regionale delle Marche) e Buon pranzo, buona domenica (Ventura edizioni, 2014), sul pranzo degli esclusi offerto dalla Caritas. Lavora come editor per alcune case editrici di scolastica, scrive magazine per imparare l’italiano all’estero e supporta Caritas Senigallia per la comunicazione.


giovedì 12 gennaio 2017

“Il sogno fasullo”, illusioni e delusioni dell’immigrazione

Amadou Kane, emigrante senegalese, attraverso il racconto del suo viaggio pieno di peripezie diventato libro a quattro mani scritto insieme a Giulio garau, dal titolo Il sogno fasullo. Memorie di un raffinato senegalese in Italia svela i retroscena della migrazione verso il nostro Paese e denuncia come le tante bugie e leggende diffuse tra i giovani africani, illusi e spinti a raggiungere un paradiso che non esiste, finendo vittime dei racket. Dopo anni di lotte, conquiste e delusioni, Amadou capisce che il luogo della felicità non è la tanto decantata Italia ma laddove si trovano le sue radici, nello stesso Senegal da cui è voluto andare via. In questo libro vuole raccontare tutta la verità ai suoi fratelli per scoraggiare coloro che vengono a cercare di realizzare invano sogni in Europa.

Qui riportiamo un brano tratto dal libro, molto intenso, con il duro incontro con la realtà.

“Dopo circa un quarto d’ora il bus è arrivato alla nostra fermata, un grande centro commerciale con un supermercato. Abbiamo fatto un piccolo tratto di strada a piedi e ci siamo diretti verso il supermercato. Ero molto agitato, non capivo cosa stesse succedendo. Ed è stato a quel punto che ho notato, nel parcheggio esterno, un sacco di ragazzi neri, tutti senegalesi. “Che cosa ci fanno qui?”, ho chiesto a Cheikh. “Stanno lavorando” mi ha risposto, e subito l’ho incalzato: “Ma che lavoro fan­no?”. “Semplice, vendono”, mi ha risposto con una naturalezza che mi ha lasciato senza parole. Continuavo a non capire e non mi è venuto il minimo sospetto o il pensiero che quelle persone sarebbero diventate i miei “colleghi”.
Calze “filo di Scozia”, maglie, abbigliamento intimo, mutande, ca­nottiere, ma anche i rotoli di sacchi neri dell’immondizia, che allora andavano a ruba. Due o tre volte alla settimana ci pensava Mauro, il grossista, a rifornire tutti di merce. Ero confuso, fremevo per sapere che tipo di lavoro mi aspettasse ed è stato a quel punto che ci siamo fermati e Cheikh mi ha detto di aspettarlo un momento. È tornato poco dopo con una grande scatola di cartone con dentro alcune cose che non riu­scivo a distinguere poi, con aria solenne, si è fermato davanti a me per parlarmi. “Fratello, oggi inizierai a lavorare”. C’è stato un interminabile silenzio. Io stavo iniziando a tremare tutto e con un soffio di voce gli ho chiesto: “Ma qual è il lavoro…?”. “Questo”, ha risposto indicando la scatola, stupito che non avessi già capito. “Ti ho già preso la merce, è dentro la scatola; tu la devi solo sistemare, esporla come fosse in vetrina”. Ero letteralmente paralizzato. Ho trovato l’energia residua dentro di me per replicare: “Ma scherzi?”. “No, no assolutamente! Tu farai come loro, devi metterti a vendere…”.
Faceva molto freddo e l’atmosfera era densa come non mai. “Ascolta – ha ripreso Cheikh con un tono di voce più morbido – qui ci sono le calze, poi ci sono le maglie, le mutande e le canottiere, tutto in tre paia. A fianco ci sono i sacchetti delle immondizie, un pacco da trenta. Ri­cordati sempre queste parole: ‘Diecimila lire’. Non serve nemmeno che la pronunci per intero, basta ‘dieci’, e rispondi così per ogni cosa che ti chiedono. Oltre a ‘dieci’ devi tenere bene a mente altre due parole: ‘grazie’ e ‘prego’. Devi essere molto svelto però: quando vedi una persona arrivare devi corrergli incontro e prima di tutto devi dire ‘prego’” .
Cheikh non se n’era accorto, ma in quel momento la terra è franata improvvisamente sotto i miei piedi. Ho smesso di tremare e mi è sem­brato di sprofondare mentre attorno a me si faceva buio. Non avevo più parole, la voce mi si era spenta in gola. Ho cercato di guardarlo negli occhi incredulo, ho dato uno sguardo alla scatola e alla fine ho sperato di trovarmi dentro uno dei miei incubi. Ma quando ho provato a ri­svegliarmi strizzando gli occhi ho capito che quella era la realtà. Fuori c’era un freddo tremendo, eravamo in pieno gennaio; le lacrime hanno iniziato a sgorgare dai miei occhi e non hanno fatto nemmeno in tempo a scendere sulle guance che erano già quasi gelate.

Ho guardato Cheikh che mi osservava sconcertato con quel muso nero incorniciato dai riccioli rasta e ho trovato la forza per dire solo: “Va bene, grazie”. Alla fine, lui mi aveva portato qui e aveva cercato, alla sua manie­ra, di mettermi nelle condizioni di lavorare. Ero debolissimo, non stavo nemmeno in piedi e mi sono seduto. “È quello che facciamo tutti noi”, ha detto cercando di spiegarmi cosa stesse succedendo e per dissipare il mio stupore. “No, non preoccuparti… non è per te, è una cosa dentro di me…”, ho risposto.” 

martedì 10 gennaio 2017

Un piccolo Paese nel cuore dell’Africa: “Burundi, la terra del dolore e del silenzio”

“Quando dicevo a Jean-Marie che i giochi di potere non hanno un luo­go o un tempo storico, ma sono sempre esistiti, lui mi rispondeva che la differenza è che, ancora in molti posti del mondo compreso il Burundi, ci sono massacri e uccisioni di persone innocenti.
Il sogno di Jean-Marie e di tanti burundesi si è realizzato?
La democrazia non deve essere solo raggiunta politicamente, ma difesa e mantenuta ogni giorno nelle coscienze di tutti, ovunque nel mondo.
L’arrivo a Bujumbura dell’attuale presidente è stato quantomeno cu­rioso. Si racconta sia entrato dal nord, in bicicletta; comunque ha atteso pochissimo, purtroppo, ad agire in modo ‘poco democratico’. Ogni tanto qualche giornalista è imprigionato con motivazioni strane, a volte assurde. Alcune persone spariscono da un giorno all’altro e non se ne sa più niente. I posti di prestigio sono affidati quasi esclusivamente a parenti e amici.
In questi ultimi anni mi sono interrogata tante volte su quale fosse il mio compito o su quale ruolo potessi giocare in questa situazione. Ho cercato di raccontare un Paese africano alla mia gente, sperando con questo di rendere il Burundi e l’Africa meno lontani, meno esotici e incomprensibili, con la speranza che ciò potesse rendere più sensibili ai drammi e alle speranze di questo popolo”.

Burundi, la terra del dolore e del silenzio, di Maria Ollari, è una testimonianza dall’interno di un’infermiera italiana che conosce il Paese africano dalla fine degli anni Settanta e ne racconta la guerra, gli intrighi, il colpo di stato militare, i ripetuti massacri su base etnica fino ai più recenti avvenimenti.