Bibata Ouedraogo, Su Changlang, Eren Keskin, Máxima Acuña, Helen Knott sono donne che difendono i diritti umani e che hanno deciso di dedicare la
propria vita alla battaglia quotidiana per la realizzazione dei diritti umani
di tutte e tutti noi.
In Burkina Faso, in
Cina, in Turchia,
in Perù e in Canada,
si legge in un appello promosso da Amnesty International, queste donne
coraggiose vengono minacciate, vessate, insultate, umiliate, censurate,
marginalizzate, picchiate, imprigionate, perseguitate penalmente per il loro
lavoro in difesa dei diritti umani; per aver sfidato gli stereotipi di genere,
le strutture del potere e del profitto, le norme sociali e i valori
patriarcali, religiosi e tradizionali; per aver rivendicato i diritti sessuali
e riproduttivi e i diritti ambientali e dei popoli nativi.
Sono
donne che difendono i nostri diritti, noi dobbiamo difendere il loro spazio d’azione, continua l’appello
di Amnesty International, contribuendo a creare un ambiente sicuro e idoneo in
cui sia possibile difendere e promuovere i diritti umani senza timore di
punizioni, rappresaglie o intimidazioni.
Perché non ci siano altre donne
che muoiono per aver difeso i diritti umani – come la coraggiosa Berta Càceres,
uccisa il 2 marzo 2016 per il suo lavoro in difesa della terra e dei
diritti della comunità nativa in Honduras – la sezione italiana di Amnesty
International chiede al nostro Governo il riconoscimento del ruolo di coloro che difendono i
diritti umani e
in particolare quello delle donne, che spesso affrontano rischi aggiuntivi sia
per il loro genere che per i diritti contestati che rivendicano e che si
adoperi, sia attraverso le sue missioni all’estero, che sul nostro territorio,
con azioni concrete a favore delle difensore a rischio, legittimandole,
proteggendole e promuovendo il loro lavoro in Italia e all’estero.
La
storia di Berta Càceres è raccontata all’interno del Rapporto 2016-2017. La
situazione dei diritti umani nel mondo di Amnesty International che
riportiamo a favore dei colleghi della stampa. Il testo può essere
ripreso dalla stampa citando la fonte © Infinito edizioni 2017 – www.infinitoedizioni.it
“L’Honduras
continuava a essere uno dei paesi più pericolosi dell’America Latina per la
comunità dei difensori dei diritti umani, specialmente per gli ambientalisti e
gli attivisti per la terra. Secondo l’Ngo Global Witness, l’Honduras deteneva
il tasso pro capite di omicidi di ambientalisti e attivisti per la terra più
elevato al mondo2. Berta Cáceres,
leader e cofondatrice del Consiglio civico delle organizzazioni popolari e
indigene dell’Honduras (Consejo cívico de organizaciones populares e indígenas
de Honduras – Copinh), è stata uccisa a colpi d’arma da fuoco nella sua
abitazione il 2 marzo. La Iachr le aveva accordato misure di protezione sin dal
2009 ma le autorità honduregne non avevano provveduto ad applicare misure in
grado di proteggerla in maniera efficace. Prima della sua morte, era stata
vittima di continue vessazioni, minacce e attacchi da parte di attori statali e
non statali, così come era accaduto ad altri membri del Copinh che protestavano
contro la costruzione della diga Agua Zarca, nella comunità di Río Blanco.”